Cronaca

Le giornate senza pretese: migranti per strada in attesa di un C.a.r.a.

LECCE- Una panchina per casa, un albero per condizionatore. Mattina e pomeriggio, nelle ore più calde. La sera, per fortuna, almeno un letto nella casa della carità. Sono in dodici. E vengono da Turchia, Afghanistan, Iraq.

C’è chi è giunto da dieci giorni fa, qualcuno è qui da un mese, chi da due mesi. E alla domanda su cosa fanno nella mattina e nel pomeriggio, rispondono: “Siamo seduti qui, giusto qui, non facciamo proprio nulla”.

Tutto il giorno qui, a fare la spola tra la stazione di Lecce e il viale Oronzo quarta. Si fermano di solito di fronte all’ufficio immigrazione, punto di riferimento. Aspettano documenti che non hanno. Sono tutti in attesa del riconoscimento di asilo politico. Sono gli ultimi rimasti di un gruppo di sessanta migranti non sbarcati nel Salento, ma arrivati qui all’improvviso. Senza sapere che fare. Sono in attesa di un posto al Cara, il centro di accoglienza per i richiedenti asilo, a foggia o a bari, prospettiva che spaventa, soprattutto dopo gli ultimi fatti di sangue, figli di risse e sovraffollamento. Ma finchè i posti non si libereranno- e per il momento non si libereranno- fino ad allora, dovranno rimanere qui. Con un letto alla caritas, si diceva, ma lasciati allo sbando.

Mangiamo una volta al giorno, poi verso le 17 o le 18 torniamo alla caritas perchè non abbiamo altro posto dove andare -dicono- Rimaniamo qui vicino alla polizia. Vorremmo che la repubblica italiana ci desse i documenti per poter lavorare, per vivere, non per stare qui senza un posto dove andare..”

Per esigenze logistiche e di pulizia, la mattina devono lasciare la casa della carità della caritas, alle 12 tornano a pranzare, poi di nuovo in giro fino a pomeriggio inoltrato. “non abbiamo abbastanza volontari per poter lasciare aperta la struttura a loro disposizione anche nel pomeriggio”, ammette don Attilio Mesagne.

Lo ha precisato con una lettera a prefetto e questura, don Attilio: non vogliono ricevere la retta di 30euro al giorno a persona riconosciuta alle strutture private, perchè altrimenti si scadrebbe nel paradosso di non poter lasciar posto agli italiani, di solito un quinto dei loro ospiti. Si fa quel che si può dalla caritas, ma il nodo rimane: questi ragazzi non sono inseriti in nessun percorso che possa dare loro gli strumenti per affrontare il domani: non un corso di italiano né di inglese, non una preparazione di base all’avviamento a un mestiere.

“Non tocca a noi”, chiarisce don Attilio, “Per quanto possano venire nell’ufficio migrantes, in piazza partigiani, dove i corsi li facciamo”. È un cane che si morde la coda. Lasciati soli, senza informazioni né mediazioni, non rimane che restare qui per loro, sulla panchina. Senza pretese. 

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