LECCE- Nuovi strumenti tecnologicamente avanzati per studiare l’erosione costiera, ma poi anche il passaggio successivo, quello politico e burocratico, per snellire l’iter che consenta interventi tempestivi e non invasivi sul litorale. La lotta ai crolli delle falesie viaggia su un doppio binario. Che ha un’appendice fondamentale: con il fenomeno bisogna imparare a convivere, senza la pretesa di fermarlo a tutti i costi, perchè è impossibile.
È il ragionamento che affiora dal documento di sintesi della due giorni di convegno che, tramite il Centro Euromediterraneo sui cambiamenti climatici, ha richiamato a Lecce esperti da tutta Italia e che si incanala nella scia dei divieti voluti dalla Capitaneria di Porto di Gallipoli su 30 km di costa, 20 dei quali già pronti ad essere liberati. Blindata la stagione sulla gran parte dei nove comuni travolti dalle ordinanze, rimane il nodo, però, relativo a come affrontare il problema, in maniera strutturale.
Il primo punto, prima e insieme al monitoraggio satellitare, in situ e alle strategie di adattamento per la riduzione dei rischi, rimane la pianificazione del territorio. Tradotto, i grandi assenti sono ancora i piani comunali o intercomunali delle coste.
Una questione appare pacifica: al posto dei grandi interventi invasivi, bisogna riconoscere e accettare che alcune aree ad elevato rischio rimangano off limits per i bagnanti. Sul resto bisogna ragionare, studi alla mano, come preservare altre zone del litorale, come poter prevedere lidi in altre, senza improvvisazione. È la sfida che tocca anche alla città capoluogo, alle prese con la redazione del proprio piano coste.