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Colacem, operai e sindacati in allerta: “regole certe, controlli puntuali”

GALATINA- “Regole certe e controlli puntuali per meglio definire la vicenda e dare garanzie sia a chi vive intorno all’impianto sia a chi in quell’impianto ci lavora otto ore al giorno”: è quello che sul cementificio Colacem di Galatina chiedono lavoratori e sindacati confederali, in vista della Conferenza dei servizi convocata dalla Provincia di Lecce, per il prossimo 4 giugno, per il rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale richiesto dall’azienda. Nei giorni scorsi, i dipendenti si sono riuniti in assemblea, ribadendo la necessità di coniugare tutela di ambiente, salute e sicurezza di territorio e lavoratori. “Spetta a tutte le istituzioni coinvolte nell’iter autorizzativo, e in particolare a quelle che hanno competenza in materia di controlli, stabilire se l’impianto di Galatina sia nocivo per l’ambiente”, dicono i sindacati, convinti che il diritto alla salute possa convivere con quello al lavoro attraverso “una produzione davvero sostenibile possibile e doverosa”.

L’azienda di Gubbio, da parte sua, ci tiene a dire che “la qualità dell’impianto salentino è un dato di fatto e non può essere messo in discussione”, ribadendo che “Colacem Galatina rispetta in modo rigoroso la legge e le prescrizioni delle Autorità Pubbliche, come accertato quotidianamente dagli Enti di Controllo”. Gli ultimi investimenti per 6 milioni di euro hanno portato a modifiche per consentire minori consumi di combustibile, quindi meno emissioni; un nuovo filtro a maniche che si unisce a quello elettrostatico per migliorarne l’efficienza (“solo con quest’ultimo le emissioni di polveri sono 10 volte più basse dello stringente limite di legge”, spiega la società); copertura del carbonile.

Sulla consulenza tecnica d’ufficio resa nel procedimento avanti al TAR di Lecce, “in numerosi passaggi viene evidenziato come la conduzione dell’impianto abbia sempre rispettato i limiti delle emissioni con le performance sopra indicate” e “attesta inoltre la corretta applicazione di tutte le BAT (migliori tecniche disponibili) di settore come previsto dalla normativa”.

Tuttavia, la consulenza contiene anche considerazioni e valutazioni in merito ad aspetti che l’azienda definisce “questioni di natura formale ed in parte legate a dibattiti e disquisizioni giuridico-dottrinarie su alcuni temi che hanno in realtà ricadute sostanziali minimali”.

Su questo Colacem ha presentato, ovviamente, le proprie controdeduzioni allegando “corpose ed articolate memorie”. Quelle dispute, che per la società sono limitate e formali e tali da non poter “compromettere l’attuale Autorizzazione”, non sono affatto, però, questioni di lana caprina, perché riguardano la natura del combustibile utilizzato, i limiti alle emissioni, la qualità dei controlli prescritti.

I consulenti nominati dal Tar, infatti, hanno messo nero su bianco che la Provincia, nell’Autorizzazione rilasciata e poi impugnata dai sindaci della zona con un doppio ricorso, non ha previsto “alcuna limitazione né alcun particolare vincolo per l’impiego di pet coke”, di fatto assimilando questo derivato dalla raffinazione del petrolio al carbone fossile, sebbene si tratti di elementi con caratteristiche chimiche differenti: nel pet coke alcune sostanze sono presenti in quantità superiori anche di dieci volte rispetto al carbone.

Inoltre, sempre secondo i consulenti, “nel prescrivere i monitoraggi da adottare per le emissioni non si è tenuto conto che nella cementeria viene realizzato un trattamento termico di rifiuti”. Ciò significa che la normativa da applicare dovrebbe essere più restrittiva, con limiti più bassi per alcune emissioni (in particolare, Ossidi di zolfo e Carbonio organico totale) e con un monitoraggio in continuo e non in discontinuo delle polveri totali.

L’azienda, in una nota, dice di aver “colto che il tema di maggior preoccupazione per le comunità è rappresentato dagli aspetti sanitari”, tanto da aver aderito “alla sollecitazione del CTU, integrando l’istruttoria con uno studio di valutazione di impatto sanitario”. Bisognerà capire, in sede di conferenza dei servizi, quale valore dare ad una valutazione di questo tipo autoprodotta dall’azienda e non da enti terzi.

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