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Il Capo di Leuca si spopola: esperimenti di “restanza” ma l’urgenza è ignorata

CASTIGLIONE D’OTRANTO- Non è un’urgenza per la politica. Anzi, non è un tema presente finora nelle agende degli amministratori salentini, se non di pochi, sporadici, Comuni. Decisamente assente nel panorama del dibattito regionale, al contrario di altre parti d’Italia, come Calabria e Sardegna. Eppure, il fenomeno dello spopolamento dei piccoli centri e in particolare dell’intero Capo di Leuca è diventato drammatico. 25 anni di declino, stando a quanto documentano i dati Istat. Sabato sera, durante la manifestazione Il Pane e le rose organizzata da Casa delle Agriculture Tullia e Gino, si è acceso il faro su questo a Castiglione d’Otranto, paese simbolo dello svuotamento ma anche delle politiche della “restanza” (parola coniata dall’antropologo calabrese Vito Teti) attivate dal basso. A studiare il caso è stato un docente dell’UniSalento, Angelo Salento, ordinario di Sociologia economica e del Lavoro.

“Il Salento meridionale – ha spiegato, presentando il Bilancio sociale della Notte Verde –  è fra le aree italiane a maggior rischio di spopolamento. L’invecchiamento della popolazione è legato sia alla scarsa natalità, sia alla tendenza dei più giovani ad abbandonare il contesto locale. L’uno e l’altro fenomeno chiamano in causa la carenza di prospettive di lavoro, ma anche la difficoltà di accedere ai servizi fondamentali, a una base di benessere condiviso. A quali condizioni è possibile restare o tornare in un contesto di questo tipo? Nel 2012 un piccolo gruppo di giovani di Castiglione d’Otranto, tutti con esperienze di lavoro e studio fuori sede, iniziò ad affrontare questo tema, scommettendo sul fatto che non soltanto l’agricoltura in senso stretto, ma la terra — o, meglio, la campagna — possano essere il luogo di una nuova prosperità, costruita non soltanto sul reddito e i consumi individuali, ma anche sul benessere condiviso, sulla qualità dell’ambiente vissuto e sul valore dei legami sociali. Decisero di affrontare la questione pubblicamente, con una manifestazione, la Notte Verde, che avrebbe accolto spazi di discussione, occasioni di intrattenimento, ma anche un’esposizione dei prodotti dell’agricoltura contadina”.

Il Capo di Leuca si svuota. Ma non è il “semplice” partire, non sono solo i giovani che se ne vanno al nord. Quello che sta accadendo nel territorio leccese ha anche una seconda chiave di lettura: il nord Salento sta prosciugando il sud Salento. La provincia sta prendendo le sembianze di una pera rovesciata: crescono a ritmi vertiginosi i residenti del capoluogo e dei comuni della cinta intorno, come Cavallino, Lizzanello, Monteroni, Surbo, Arnesano, dove si registrano picchi di incremento anche del +10/15 per cento all’anno e dove le conseguenze si vedono soprattutto sul piano di uno sviluppo edilizio abnorme. Lecce, tra l’altro, è l’unico capoluogo della Puglia che, sempre stando a dati Istat, ha nel suo futuro stime di ulteriore incremento della popolazione, mentre tutti gli altri rallentano. E il perché è presto detto: attira residenti dal Capo soprattutto, dove il calo demografico, il trasferimento massiccio della fascia dai 20 ai 40 anni e l’anzianità raddoppiata stanno svuotando i borghi. Dunque, cosa fare? La strategia delle aree interne è un primo passo, ma lascia fuori, anche nel Sud Salento, troppi Comuni. Castiglione, si diceva, per l’ateneo leccese è diventato un “caso”: frazione di Andrano di meno di mille abitanti, senza scuole e ufficio postale, conta dal 1991 ad oggi il doppio degli ultra 75enni e il – 33 per cento dei bambini sotto i sei anni. Ha però un motore associativo importante, capace di guardare alle risorse interne e aprirsi all’esterno.

“L’esperienza di Casa delle AgriCulture, che fortunatamente non è isolata, ha mostrato – ha continuato Salento – che la campagna e la produzione agricola contadina possono dare enormi contributi al benessere e alla prosperità collettiva. Su questa base di partenza, il Salento può costruire un vero proprio sistema territoriale del cibo. Per una volta, non parliamo soltanto di branding e marketing territoriale, ma di un’architettura, anche istituzionale, che persegue più obiettivi: migliorare la qualità dell’alimentazione (a cominciare dall’educazione alimentare dei bambini in età prescolare), generare una politica economica territoriale fondata sulla qualità della produzione agricola e sulle altre attività che ruotano intorno alle campagne, rigenerare il tessuto rurale e il rapporto fra centri abitati e campagna, sostenere il reddito e la qualità della vita di quanti desiderano restare o tornare nel Salento. In altri contesti i lavori sono già iniziati. Il Salento non ha tempo da perdere, su questo fronte, perché ogni giorno subisce un’emorragia di popolazione giovane che le glorie del turismo di massa — un’industria pesante, non dimentichiamolo — non possono compensare. La Notte Verde del 31 agosto sarà l’occasione migliore per discuterne pubblicamente, misurandosi con esperienze di alto livello”.

Restare è reinventarsi, è una sfida. Che la politica non può continuare a ignorare.

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