Cronaca

Choc per l’onda di suicidi a Taranto.Il vescovo: “Sembra una città depressa”

TARANTO – “Viviamo in una comunità così “social” e così poco comunionale, lontana dalla condivisione.  Siamo spesso così informati e al contempo indifferenti. Se dovessimo analizzare i sintomi saremmo tentati nella diagnosi di una città depressa, senza speranza, ma non voglio assolutamente rassegnarmi a quest’idea”. Sono le parole dell’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, dopo l’ondata di suicidi che stanno gettando la città nello sgomento e nella disperazione. Quattro persone, tre delle quali giovani, si sono tolte la vita in pochi giorni.

Un numero impressionante. E tutti hanno compiuto il gesto estremo nello stesso modo: lasciandosi cadere nel vuoto, quel vuoto che devono aver provato dentro fino a desiderare di smettere di vivere.

Ad aprire la drammatica serie è stata una ragazza di soli 22 anni, che si è lanciata giù sugli scogli, dal lungomare, all’altezza del monumento dei Marinai. Il giorno di ferragosto, stesso copione per il suicidio di un 25enne. Si è buttato giù dallo stesso punto, stringendo al petto una lettera indirizzata ad una donna. E ancora un uomo di 76 anni e, sabato, l’ultimo in ordine di tempo: un 37enne era a casa dei genitori, al quarto piano di un palazzo all’angolo tra via Lazio e via Veneto. Si è lanciato da un’altezza di 15 metri, tra i passanti choccati. È spirato poco dopo l’arrivo in ospedale ed i medici hanno dovuto soccorrere anche i familiari, sconvolti. Era in cassa integrazione da poco, lavorava per un’azienda a Modena ed era tornato nella sua Taranto per gli inevitabili problemi economici cui è andato incontro.

A questi episodi si aggiungono anche i tentativi di suicidio: in un anno, a Taranto, le cronache ne hanno raccontati tantissimi. Uomini soprattutto, salvati in extremis dai parenti o dalle forze dell’ordine.

«Esprimo il mio profondo dolore per il susseguirsi dei suicidi nella mia città. Innanzitutto il mio pensiero va ai familiari dei defunti, che si trovano nella sofferenza, nei dubbi, stravolti da questi gesti di estrema gravità. Mi unisco a loro spiritualmente e manifesto paterna vicinanza –scrive dopo l’ennesima tragedia mons. Santoro– Non è difficile pensare che simili episodi generino smarrimento nella comunità e che chiamino qualche filo logico, il perché della negazione della vita. Una ragione non c’è, se non quella che sotto la traccia della nostra società c’è una profonda solitudine, quando non proprio l’isolamento. Pur in gravissime difficoltà,  a Taranto, non diversa dalle altre città del mondo, noi abbiamo tante falde di speranza, come ad esempio la fede, la famiglia, l’accoglienza, il valore dell’amicizia e di una solidarietà che scorre naturale nelle nostre vene. Invito tutti all’apertura e all’attenzione all’altro. Spesso, anche sullo stesso pianerottolo di casa, quando non proprio sotto lo stesso tetto a pochi metri da noi, si aprono scenari di dolore e di confusione: l’affetto, la generosità, l’ascolto sono farmaci indispensabili per chi avverte il male di vivere. In una terra particolarmente cristiana non possiamo rimanere indifferenti”.

 

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