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L’agricoltura brindisina punta sul vino per superare la crisi

BRINDISI – Le cantine vinicole brindisine, come quelle di tutto il paese, si apprestano ad avviare la nuova campagna di commercializzazione del vino dopo aver archiviato la vendemmia e la successiva partenza della fase di vinificazione. C’è chi ha deciso di inserirsi nel segmento di mercato riguardante il vino novello – e cioè di un prodotto che viene realizzato con il metodo della macerazione carbonica – e chi invece preferisce aspettare che sia pronto il vino tratto dai sistemi tradizionali. In un caso o nell’altro, però, il comparto vitivinicolo brindisino fa registrare importanti segnali di vitalità ed anche confortanti accenni di condivisione di politiche di sviluppo.

Va in questa direzione un documento di analisi sottoscritto da sette cantine che operano nel territorio brindisino. Si è partiti da un dato storico, che consiste nel fatto di prendere atto che, dopo gli svellimenti incentivati degli anni 70(80, gli ettari di vite della provincia di Brindisi sono passati da 33.500 ai circa 11.000 del 2016. Un processo di riduzione provocato anche dalla corsa ai campi fotovoltaici che promettevano guadagni immediati e superiori a quelli derivanti dalla produzione di uva.

Una tendenza che fortunatamente sta facendo registrare una inversione di marcia, soprattutto in direzione di produzioni di qualità. Nell’agro della città di Brindisi, ad esempio, adesso ci sono 2.800 ettari coltivati a vite, tra impianti vecchi e nuovi, a cui si aggiungono altri 1.200 dell’agro di Mesagne ed insieme danno vita alla zona “doc Brindisi”. Un patrimonio che va salvaguardato, anche sulla scorta del successo che proprio le cantine vinicole brindisine stanno ottenendo sui mercati nazionali ed internazionali. Il nemico da contrastare è quello costituito dal ritorno del fotovoltaico e forse si dovrebbe imporre di realizzarlo sui tetti invece che sulla terra che a questa provincia può portare un importante reddito agricolo.

Si lavori, pertanto, per rafforzare l’economia agricola e per accrescere una cultura del vino che – come hanno affermato proprio i responsabili delle cantine nel loro documento – può essere utilizzata anche a scopi turistici. L’importante è che questa volta si agisca in tempi brevi.

Mimmo Consales

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