Cronaca

Muore dopo la gastroscopia, il pm chiede l’archiviazione per tre indagati

SQUINZANO- Era morta il 23 ottobre del 2018 in seguito ad una gastroscopia eseguita in una clinica privata leccese, esame preparatorio ad un delicato intervento per il trattamento endoscopico dell’obesità. Per far luce sul decesso di Teresa Tramacere, 49 anni di Squinzano, avvenuto nel Vito Fazzi, dove la donna era arrivata in coma, era stata avviata un’inchiesta e nel registro degli indagati erano state iscritte quattro persone che avrebbero potuto aver avuto un ruolo nella vicenda. Ora il pm inquirente Maria Vallefuoco ha chiesto l’archiviazione per tre di loro, disponendo uno stralcio rispetto al fascicolo originario per il medico che materialmente ha eseguito la gastroscopia.

Una vicenda dolorosa che aveva gettato nella disperazione la famiglia della vittima. La donna pesava 170 chili. L’arresto cardiaco era subentrato durante l’esame. Si era reso necessario quindi il trasferimento d’urgenza nel reparto di Terapia Intensiva del “Fazzi”. I familiari avevano sporto denuncia con l’avvocato Cosimo Miccoli. Il legale aveva presentato una memoria con la quale aveva chiesto di estendere l’indagine non solo al medico iscritto nel registro degli indagati ma anche ad altro personale presente al momento dell’esame diagnostico. Tre medici che secondo il pm, alla luce della relazione depositata dai consulenti della Procura, non hanno avuto responsabilità nella morte della donna. Una richiesta di archiviazione alla quale il legale della famiglia non si opporrà. Rimane in piedi invece l’indagine per il medico della clinica che materialmente esegui l’esame per il quale il pubblico ministero provvederà ora, probabilmente, la richiesta di rinvio a giudizio sulla base degli accertamenti tecnici. Nella sua memoria l’avvocato chiedeva di verificare se fosse stato rispettato o meno un protocollo ad hoc obbligatorio per i pazienti obesi. La donna sarebbe dovuta essere trattata secondo precise linee guida relative alla sedazione e all’anestesia. La consulenza ha confermato che un più accurato monitoraggio cardiorespiratorio non avrebbe, probabilmente, evitato l’arresto caridaco, ma garantito un avvio più rapido delle manovre di rianimazione.

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