Cronaca

L’illecità attività commerciale “svolta con professionalità”

LECCE – A spingere Angelo Corrado a collaborare con la giustizia non è stato solo il desiderio di interrompere ogni contatto con gli ambienti criminali, ma anche il debito con i fornitori di droga, “…per la necessità di salvaguardare la sua incolumità personale e quella dei suoi familiari dalla vendetta dei fornitori di sostanze stupefacenti nei confronti dei quali aveva accumulato ingenti debiti”. È quanto si legge nell’ordinanza degli arresti scattati con l’operazione “Vele”, che ha sgominato l’organizzazione dedita allo spaccio, che operava nell’omonimo quartiere leccese.

Quando diventò collaboratore, Corrado dichiarò di essere affiliato al clan Briganti (Pasquale, detto Maurizio) “con il grado di trequartino“, un grado piuttosto alto, quasi di braccio destro, nella gerarchia criminale. Questo, però, succedeva dopo essere stato affiliato a Roberto Nisi, prima che questo fosse “fermato” in carcere.

Racconta di come gli arrestati venissero sovvenzionati dai gruppi durante la detenzione, di come dal carcere, durante i colloqui con i parenti, arrivassero le “sfoglie”, gli ordini scritti, spesso di lezioni da dare a qualcuno. Corrado ricostruisce poi gli assetti criminali della zona, e i rapporti, improntati a una sorta di reciproca collaborazione, tra il clan Briganti e il clan Pepe (Cristian). Nelle intercettazionei anche il codice criptato, neanche tanto bene, in cui, negli sms, la droga veniva chiamata Smart, come se si trattasse di un’auto.

Dalle indagini emerge che i contatti tra Gianfranco Elia, affiliato al clan Pepe, con i sodali del clan Briganti, rivelano come “le attività criminali dei due gruppi venissero espletate anche tollerando reciproche concordate ingerenze, a riprova del clima di cooperazione esistente tra clan, di certo rafforzato dalla presenza dei due fratelli Elia in ciascuna delle due associazioni mafiose”.

Per conto di Briganti, Corrado gestiva su Frigole il traffico di droga. A casa sua, mentre era ai domiciliari, subì diverse minacce per debiti di droga accumulati con i fornitori brindisini, compresi i colpi di pistola contro l’abitazione, esplosi pochi giorni prima di Natale 2015.

Per gli inquirenti, l’illecità attività commerciale del gruppo sgominato veniva svolta “con continuità e professionalità, attraverso un’organizzazione di uomini e mezzi (telefoni, auto, basi logistiche) ed era consolidata dalla supremazia territoriale del gruppo, che non ammetteva nella zona di competenza lo spaccio autonimo da parte di soggetti estranei… Un sodalizio … costituito su stabili rapporti di compravendita di sostanze stupefacenti tra Corrado, Massimiliano elia, Cristian Cito e Gianfranco Elia, che cooperavano tutti a vario titolo alimentando l’azione sul mercato e favorendo il raggiungimento degli scopi”.

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