Cronaca

Cricket e speranze, l’altra accoglienza nelle piccole comunità

CASTIGLIONE- La sfida è anche con gli oltre 30 gradi che rendono estate piena questo secondo sabato di maggio. “Non ci fermerà il caldo”, dice Azadar. E così è. Continuano ad arrivare qui da ogni parte di Puglia, in questa campagna diventata per loro il tempio del cricket, un muretto per gli spalti e una corda per perimetro. 

A castiglione d’otranto, profondo capo di leuca, è il grande giorno, è la chiusura del campionato. I trofei da conquistare sono sistemati su un’incerta cassa di birra. E Malek segna in urdu le squadre che duelleranno senza sosta dalle nove alle 18.

ogni formazione porta il nome del centro di prima accoglienza in cui i migranti sono ospitati. Il cricket è un rito che si ripete da due anni: palla e mazze per scavalcare i confini, per sentirsi a casa. Ritrovarsi qui, insieme, per dimenticarsi, anche, dei conflitti che lì dividono Kashmir e Pakistan, Kurdistan e Iraq. Sono travagli di popoli interi le storie che ognuno affida a Dalila, la loro mediatrice. Non tutti hanno voglia di parlare. C’è paura. Paura di dire qualcosa di troppo, qualcosa che diventi un boomerang di fronte alla commissione territoriale di Bari, l’organo che ha in mano la loro sorte di richiedenti asilo politico. Per tanti, è il tempo del ricorso dopo la prima bocciatura. Per altri, dopo venti mesi, è l’ora della gioia, come per Rafiq, 40 anni, pakistano.

L’attesa del riconoscimento della protezione internazionale confina tutti nel limbo di strutture come questa, la Masseria del Monte, alla periferia della periferia del Salento. Non sempre è stata facile la convivenza, ma ora si ha voglia di sentirsi famiglia. Non a caso si chiama “Tomas cricket club” la loro squadra. Tomas come questo bimbo, il figlio di uno dei proprietari del centro.

Da maggio 2011 ad oggi, questo è l’approdo di chi ha deciso di darsi un’altra chance, dopo il caos di conflitti tribali e internazionali, delle primavere sfiorite, dei nuovi incubi. Lo ripete chi distribuisce il pranzo agli altri, curdi entrambi, uno apolide, l’altro spinto alla fuga dal padre di fronte all’arrivo dell’Isis. Prima del corso pomeridiano di lingua italiana, alle 13.05, il richiamo alla preghiera…. poi alla spicciolata verso il vecchio frantoio trasformato in moschea.

Nessuno qui s’è mai sentito offeso, turbato, infastidito dalla presenza di una moschea, spaventato dal via vai di stranieri. È l’altro modello di accoglienza, lontano dai clamori e dalle polemiche delle grandi città, incurante delle paure su cui soffia una certa propaganda politica. Chi l’ha vissuta e la vive questa esperienza ha approccio diverso.

Castiglione è una frazione da mille anime appena e un numero di migranti ospitati, 94, superiore a quello dell’intera Valle d’Aosta (62). Non è scontato il giudizio. Non era abituata a questa vita, forse, all’inizio, non era neanche preparata, questa comunità. Da quattro anni, però, ha imparato la convivenza, prova a esercitare l’integrazione.

È un microcosmo, questo piccolo borgo. confluiscono qui due flussi: il primo è quello che arriva dall’Africa, dopo i salvataggi in mare e la sosta nei Cara siciliani, come a Mineo. Il secondo è quello che non fa neppure più notizia, con gli sbarchi continui di disperati asiatici in un Salento che è l’altra Lampedusa d’Italia. Di notte, sulle coste, gli scafisti non si sono mai fermati, fanno la spola tra la Grecia e il Capo di Leuca, complice la criminalità locale, ellenica e albanese, come confermano le inchieste della Procura di Lecce. C’è poi lo strano fenomeno dei migranti a cui, dopo aver girato l’Italia, viene “consigliato” di venire qui, perché l’attesa per i documenti non sia un altro inferno.

Etnie, religioni, lingue diverse. All’improvviso. la tolleranza, forse, era scontata. Ma qui si è andati oltre. Si è anticipato il modello dell’accoglienza in casa. Un’adozione di fatto, quella di Amar, sfidando anche maldicenze e pregiudizi.  Lui è stato tra i primi ad arrivare a Castiglione, 4 anni fa, in fuga dal Sudan e poi dalla Libia e poi dalla morte certa sul barcone in avaria. Donato era lì alla Masseria ad aspettare, solo per dare una pacca sulla spalla. Da allora un legame che non si è mai interrotto, neanche quando Amar è stato trasferito presso il centro di Palagiano. Quando l’emergenza nord africa è finita, nel marzo 2013, i coniugi Longo non hanno esitato ad allargare la famiglia.

Per lui, che ora lavora come muratore, è stata sistemata la casa in campagna, ora se ne sta ristrutturando un’altra a Montesano, perché è a giorni che è atteso l’arrivo di Fatima, la ragazza che Amar ha sposato un anno fa e che è già la nuora di tutti.

 

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