Cronaca

Altro che ostetricie, il percorso nascita è ad ostacoli

LECCE- La dismissione di due reparti di Ostetricia riapre il vaso di Pandora sulle criticità che continua a vivere il percorso nascita nel Leccese: boom di tagli cesarei, lunghe attese per l’esame morfologico, carenza di posti letto per le Utin, assenza di ambulanza per la rianimazione neonatale. Rischi non indifferenti per donne e nascituri.

È questo, al di là delle polemiche di campanile, il rovescio della medaglia del mantenimento di sette punti nascita, Tricase compreso. Gli accorpamenti sono previsti da anni, ma sono rimasti lettera morta, fermi al palo della discussione politica, con il paradosso di una Regione Puglia che da un lato ha diffidato, un anno fa, la Asl per la mancata chiusura, bocciando su questo punto il direttore generale, e dall’altro ha stoppato i tagli.

Secondo la cruda matematica, a non aver raggiunto i 500 parti l’anno e destinati alla dismissione dovevano essere le ostetricie di Scorrano, Gallipoli e Casarano. La prima è stata salvata perché fulcro del futuro ospedale di Melpignano; delle altre due si è deciso di mantenere un presidio per l’arco ionico, quello del Ferrari. Questo prevede il nuovo Piano di Riordino sanitario, per il quale, però, per il gioco dei contrappesi, si dovrà procedere alla dismissione di Copertino, nonostante abbia numeri da capogiro: terzo per nascite, secondo (dopo Tricase) per percentuale più alta di parti naturali. Reparto quasi gemello è quello di Galatina, che assorbirà il primo diventando il terzo polo materno-infantile della provincia, con 50 posti letto in totale, una neonatologia che passa da 6 a 12 posti letto e e la terza Unità di terapia intensiva neonatale.

La levata di scudi di amministratori e politici sembra ignorare l’interrogativo principale: cosa è meglio per le donne e i bambini? Sono le società scientifiche di ginecologi ed ostetriche a dire che i punti nascita sotto i 500 parti l’anno sono pericolosi. E nel Salento non se ne potrebbero avere 7. Nascere in una sala parto piccola è un rischio perché manca la strumentazione tecnica adeguata. La presenza attuale di due Utin solo a Lecce e Tricase ne è l’emblema. I trasferimenti dei piccoli in ambulanza possono rivelarsi fatali, anche perché qui continua a mancare l’ambulanza per la rianimazione neonatale e al massimo si può installare un’incubatrice su quella normale.

I picchi di parti chirurgici, anche quando manca una diagnosi complicante, poi, dicono del resto: le percentuali più vertiginose nei nidi più piccoli, a Gallipoli e Scorrano, dove una donna su due è costretta ai bisturi; vanno oltre il 44 per cento i cesarei al Fazzi, Casarano e Galatina. I migliori il Panico e Copertino. È un problema di salute, ma anche di costi e di sprechi: il cesareo costa 2.457,72 euro, il naturale 1.318,64. Una differenza quasi del doppio.

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