BARI – Avevano costituito una “società della guerra”, con 20 soci e 600mila euro di capitale, per comprare droga e spartirsi gli utili del narcotraffico, i clan Parisi e Palermiti di Bari. Si erano divisi le piazze di spaccio del quartiere Japigia, con il canalone come linea di confine: ai Palermiti la zona verso il centro, ai Parisi quella verso la tangenziale. Un’alleanza contro il clan rivale Busco, sancita dopo l’omicidio di Giuseppe Gelao avvenuto a Japigia il 6 marzo del 2017.
Tutto organizzato come una vera e propria società: una struttura gerarchicamente articolata con organizzatori, promotori, dirigenti e partecipanti, che grazie al controllo del territorio riusciva a gestire il mercato degli stupefacenti, ricorrendo alla violenza e all’utilizzo di armi e munizioni. “Non è più una mafia rozza, ma agisce con gli strumenti tipici del capitalismo”, ha rimarcato il procuratore capo di Bari, Roberto Rossi.
Quattro anni di indagini, fra il 2017 e il 2020, e sequestri di droga per un totale di 80 chilogrammi di hashish, 7 di cocaina e 2 di marijuana: è il risultato dell’attività investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, che ha portato all’esecuzione di 56 arresti da parte dei Carabinieri del Comando provinciale di Bari. L’accusa è di traffico di stupefacenti con modalità di tipo mafioso-camorristico.
Fondamentali, per le indagini, le rivelazioni di un collaboratore di giustizia, figura di vertice della società costituita dai clan Parisi-Palermiti. C’erano statuto e cassa comune, con quote intere e mezze quote e spartizione proporzionale dei profitti del narcotraffico. Cifre da capogiro: dieci chili di cocaina a settimana, a 38mila euro al chilo.
A margine della conferenza stampa, il procuratore Roberto Rossi ha lanciato l’allarme sulla carenza di organico alla Procura di Bari, stimata fra il 20 e il 25%.