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Bracciante morì sotto il sole: 14 anni e mezzo a testa per imprenditore e “caporale”

LECCE –Sulla drammatica morte sotto il sole cocente nei campi a 47 anni di Abdullah Mohammed, la Corte d’Assise presieduta dal Giudice Pietro Baffa non ha dubbi: si poteva evitare. Per questo, con l’accusa di riduzione in schiavitù e omicidio colposo, in mattinata in aula Bunker è arrivata una sentenza più dura del previsto.

Il Pubblico Ministero Francesca Miglietta aveva invocato la condanna a 11 anni e mezzo di reclusione per ciascuno dei due imputati. La Corte ne ha stabiliti, invece, 14 e mezzo a testa per l’imprenditore Giuseppe Mariano, 83 anni a capo dell’azienda agricola per la quale lavorava la vittima e Mohamed Elsalih, 42enne originario del Sudan, colui il quale avrebbe reclutato i migranti.

Stando alle carte dell’inchiesta, Abdullah Mohammed – affetto da una grave forma di polmonite che avrebbe potuto e dovuto essere riscontrata – è morto di fatica: quel tragico 20 luglio del 2015 lo sforzo fisico e le alte temperature non gli hanno lasciato scampo. Ma chi era Mohammed? “Soltanto uno – ha rimarcato l’accusa – dei tanti lavoratori stranieri costretti a lavorare e vivere in condizioni estreme, senza pause, riposi, fino a 12 ore al giorno, per poche decine di euro”.

Ecco perché il legale difensore della famiglia del 47enne, l’avvocato Cinzia Vaglio, parla di “vittoria sul fronte dei diritti civili. Perchè di Mohammed, invisibili fino a quando non accade il peggio, ne esistono tanti”.

Non solo alla reclusione, i due imputati sono stati condannati anche al risarcimento danni, pari a 50mila euro, in favore della moglie di Mohammed e il resto, da liquidarsi in separata sede, in favore delle altre parti civili (Flai-Cgil Brindisi e Cgil Lecce, il Comitato interministeriale per i diritti umani e poi le note società Mutti e Conserve Italia che dall’azienda Mariano si rifornivano).

Ai difensori degli imputati, gli avvocati Giuseppe Sessa e Antonio Romano, non resta che attendere adesso il deposito delle motivazioni a monte della sentenza (entro 60 giorni), per poi valutare il da farsi.

ERICA FIORE

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