Cronaca

Porto Cesareo, pastore ucciso “per gioco” dal datore: invocati 25 anni di carcere

PORTO CESAREO – “Per il suo datore la vita di Qamil non valeva nulla. Quando ha sparato, era consapevole di poterlo colpire ed era disposto a pagare quel prezzo“. È partendo da queste premesse che la Pm Carmen Ruggiero ha invocato in mattinata 25 anni di carcere per Giuseppe Roi, 40enne di Porto Cesareo, ritenuto responsabile della morte nel 2014 di Qamil Hyraj, all’epoca 24enne, addetto nella masseria di Roi alla cura del gregge. La requisitoria del pubblico ministero si è tenuta dinanzi ai giudici della Corte d’Assise (presidente Pietro Baffa, a latere Maria Francesca Mariano e giudici popolari).

L’ipotesi di reato: omicidio volontario con dolo eventuale. E questo perché quel giorno Giuseppe Roi – come era solito fare per diletto, stando alle testimonianze raccolte – stava esplodendo colpi di pistola all’aria aperta, nei pressi del dipendente, che in quel momento controllava il gregge nell’area preposta da sempre a questo tipo di attività. All’improvviso un proiettile ha raggiunto dritto alla fronte Qamil: il govane è deceduto sul colpo. “Non un imprevisto drammatico – ha incalzato il pubblico ministero – ma, al contrario, una tragedia annunciata“. Ad avallare la tesi le testimonianze dei familiari della vittima, fratello e sorella in primis, con i quali il giovane pastore si era sfogato più volte, confessando di avere paura per il pericoloso vizio del titolare, che era solito indirizzare spesso i colpi verso di lui per spaventarlo golidardicamente. “Prima o poi – aveva detto – così facendo mi ammazza“.

Il cerchio delle indagini condotte dai Carabinieri si strinse nel novembre dello stesso anno, grazie a rilievi, testimonianze ed errori commessi dal presunto assassino di Qamil, incluso il tentativo del padre, Angelo Roi, di confondere gli inquirenti parlando del fantomatico furto di 20 pecore subito in quei giorni, tale da indirizzare verso tutt’altra pista.

Ma la storia di Qamil, che dall’Albania aveva raggiunto l’Italia in cerca di lavoro, raccontava tutt’altro: le indagini hanno appurato che il giovane non avesse alcun tipo di rapporto con ambienti criminali, nessun dissidio, nessuna relazione sentimentale. Giuseppe Roi, al di là del rapporto di lavoro, era il suo unico amico, almeno fino a quando il vizio delle armi non aveva incrinato il rapporto tra i due.

Tra gli errori commessi da Roi, subito dopo la morte di Qamil, l’aver alterato il luogo della tragedia e l’aver riferito al 118 dettagli che soltanto il fautore di quella morte avrebbe potuto conoscere. Il tutto mentre il poveretto era riverso supino per terra.

Il processo è stato aggiornato al 19 aprile prossimo, quando è prevista l’arringa difensiva degli avvocati Francesca Conte e Giuseppe Romano e la sentenza della Corte d’Assise.

ERICA FIORE

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