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Riprese hot anche ai familiari: i retroscena dell’inchiesta sul viceprocuratore Zito

BENEVENTO /LECCE – “Voyeurismo privo di autocontrollo” che per oltre vent’anni (esattamente dal 2002) ha spinto gli indagati “a soddisfare i propri appetiti sessuali, senza freni inibitori” che consentissero di risparmiare quantomeno i propri familiari. E invece no, neanche quelli.

È la conclusione che ha spinto la Procura di Benevento a inasprire la misura cautelare dei domiciliari scattata a giugno per Antonio Zito, già viceprocuratore onorario presso il tribunale di Lecce, e il medico cardiologo suo amico e operante a Benevento, Giovanni Vetrone. Per entrambi è stato adesso disposto ed eseguito l’arresto in carcere. Ad incidere sono stati gli esiti degli ulteriori approfondimenti investigativi, con le vittime accertate che sfiorano quota 30 e con un vasto repertorio pornografico che i due avrebbero interamente autoprodotto.

Sono accusati – lo ricordiamo – di aver palpeggiato e ripreso impropriamente le pazienti che dal dottor Vetrone si recavano per una visita al cuore, salvo poi ritrovarsi completamente nude su un lettino, inconsapevolmente riprese da telecamere nascoste o con il cellulare. Il tutto alla presenza di un sedicente specialista che affiancava il cardiologo e che altro non era che il viceprocuratore, con tanto di camice bianco addosso e una presunta lunga carriera nell’ambito della ginecologia. Era così che i due – stando alle indagini – avrebbero convinto le pazienti a spogliarsi, farsi palpare il seno, sottoporsi anche a visite intime interne, approfondite, videoriprese e poi scambiate dai due indagati su WhatsApp con commenti del tipo “era bella cicciona, me l’ha fatta toccare tutta…ho fatto le riprese sia con il cellulare che con il router” o con didascalie al margine di foto di parti intime zoomate e seni nudi che recitano così “pazienti anestetizzate…ho tolto le parti inutili”.

Non solo in ambulatorio a Benevento. I due – sempre stando alle indagini – avrebbero installato telecamere nascoste in qualunque ambiente notoriamente frequentato da donne: camerini, spogliatoi e bagni di esercizi commerciali, lidi e studi professionali.

Tra il materiale sequestrato al viceprocuratore leccese anche scarpe sulle quali erano installate microcamere. È tramite quelle che, secondo l’impianto accusatorio, avrebbero collezionato riprese sotto le gonne e gli abiti di ignare vittime, concentrando l’obiettivo sulle parti intime. A cadere nella rete – dettaglio definito dalla stessa Gip “miserevole” – anche persone facenti parte del ristretto nucleo familiare o ospiti riprese nei bagni e in situazioni di intimità.

La Gip Maria Di Carlo nell’ordinanza di applicazione della misura  cautelare lo scrive chiaro e tondo: “l’esito delle indagini rende ragionevole prognosticare che continueranno a rivolgere le loro miserevoli, abiette e illecite condotte ai danni di una indiscriminata platea di future vittime”.

 

 

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