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Depuratore Porto Cesareo, fumata nera e tensioni al tavolo tecnico. Si torna alla protesta

PORTO CESAREO- Fumata nera al tavolo tecnico convocato oggi per discutere del depuratore di Porto Cesareo. Il Comune rigetta la proposta delle trincee drenanti presentata da Regione Puglia e Aqp e si prepara a tornare alla mobilitazione, con un’azione di protesta in calendario per domenica 13 giugno. Legambiente, presente al tavolo con il proprio referente Luigi Aquaro in qualità di consulente del Comune, ha ribadito di voler andare in Procura contro quella che definisce “una perdita di tempo da parte della Regione, proposta che costringerà a non allacciare le utenze neppure in via provvisoria”.

Presenti anche il Comune di Nardò e l’Autorità idrica di Bacino. L’obiettivo del tavolo era raggiungere un’intesa tra gli enti sulla proposta, come detto, di trasformare le vasche di essiccamento del vecchio depuratore mai entrato in funzione in trincee drenanti, che non necessitano di autorizzazioni ministeriali ma potrebbero servire fino a massimo 600 utenze e tra i 2.400 e 4.500 abitanti, numeri molto ridotti rispetto alle esigenze di un centro che d’estate vede crescere la popolazione fino a 200mila abitanti.

“Per il Comune cesarino – spiega l‘assessore all’Ambiente Eugenio Sambati – si tratta di un palliativo perché comunque si necessita di uno scarico finale in un corpo idrico (in questo caso il mare) anche se ci sono le trincee”. Pertanto, l’amministrazione insiste per chiedere un’autorizzazione provvisoria allo scarico in mare, collettando i reflui nella condotta in cui scarica già Nardò, a Torre Inserraglio, fuori dall’area marina protetta. Questo consentirebbe, secondo l’ente, di poter procedere anche agli allacci alla fognatura da parte delle abitazioni.

La storia del depuratore cesarino è lunga decenni: il vecchio depuratore, in parte realizzato, è stato un progetto abortito; si è innescato un contenzioso infinito con i residenti di località Poggio e La Strea, per la vicinanza alle loro abitazioni, contenzioso che li ha visti soccombere (nel 2010, il Tar diede loro ragione, con una sentenza giunta 14 anni dopo il loro ricorso; nel 2018, ribaltone in Consiglio di Stato che ha ritenuto tardivi i ricorsi presentati nel ’94, perché il termine per depositarli sarebbe dovuto decorrere dal 1991); si sono registrate frizioni con il vicino Comune di Nardò; sono stati bocciati i progetti relativi alla condotta sottomarina ma anche al riuso dei reflui al 100 per cento, deroga quest’ultima negata dal Ministero per la distanza inferiore a 5 chilometri dal mare.

Ora si è alla quinta proposta di progetto, quella delle trincee, osteggiate dall’amministrazione cesarina e da Legambiente, che insistono per lo scarico a mare dei reflui. A loro avviso, gli impatti sarebbero più contenuti rispetto a quelli delle trincee. I motivi sono almeno tre. Il primo: è vero che con le trincee a mare arriverebbero molti meno reflui, ma la loro capacità di drenaggio, poiché tarate su un massimo di 4.500 abitanti, sarebbe irrisoria rispetto a quanto servirebbe. Il secondo motivo: le trincee potrebbero creare problemi alla falda, in quella zona porosa, e disagi odorigeni agli abitanti vicini, già sul piede di guerra. Il terzo motivo: poiché nell’impianto di Porto Cesareo sono già previste le vasche per il riuso dei reflui, questi sarebbero molto raffinati e dunque con una carica batterica ridotta (rispettando la cosiddetta “tabella 4”), molto di più rispetto a quelli depurati dall’impianto di Nardò (dove ci si adegua alla cosiddetta “tabella 1”). Ergo, secondo Porto Cesareo, l’immissione dei reflui cesarini nel tratto finale della condotta già esistente che scarica a Torre Inserraglio sarebbe decisamente molto meno impattante.

 

T.C.

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