Cronaca

Si uccise a 16 anni nella struttura educativa: indagati responsabili e operatori

LECCE- Avrebbe avuto bisogno di essere protetta ed assistita la giovane studentessa leccese che il 18 giugno del 2019 si tolse la vita nel “Centro residenziale terapeutico per il trattamento dei disturbi psichiatrici in preadolescenza e adolescenza” di Andria dove era arrivata da pochi giorni. Ma anziché cure ed un percorso di guarigione trovò la morte.

Per questo il pubblico ministero della procura di Trani ha iscritto quattro persone nel registro degli indagati: sono accusati, così come riportato nell’avviso di conclusione indagini, di omicidio colposo in concorso e omessa vigilanza. Si tratta del responsabile della struttura ed educatore, di un educatore professionale, di un’infermiera e di un operatore sociosanitario in servizio nella struttura al momento del tragico fatto. Per le loro qualifiche avevano precisi doveri di vigilanza, cura e custodia della sedicenne che si trovava nella struttura per un provvedimento del Tribunale per i minori di Lecce , ed avevano l’obbligo giuridico di evitare qualsiasi incidente.  La copiosa documentazione a loro disposizione parlava di una ragazza fragile. Al rientro in struttura, dopo un’uscita programmata, alla ragazza era stata restituita una cintura che nessuno poi le aveva chiesto di riconsegnare o le aveva tolto. Un’imprudenza ed una negligenza ( oltre che una violazione del regolamento della struttura che vieta per gli ospiti di detenere oggetti pericolosi) che costarono care alla 16enne leccese, che, lasciata incredibilmente sola nella sua stanza, si tolse la vita proprio con quella cinta.

Se la ragazza fosse stata con qualcuno e se fosse stata, come da prassi, sorvegliata attraverso le telecamere, quella tragedia non sarebbe avvenuta. Qualcuno, probabilmente, sarebbe accorso in tempo per salvarla. Secondo il pubblico ministero Lucio Vaira quindi ci furono delle responsabilità per quella morte ed ora gli indagati sono chiamati a risponderne. La famiglia della ragazza è difesa dall’avvocato Massimo Bellini.

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