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Fusti a Burgesi, Rosafio punta al ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

UGENTO- La vicenda Burgesi punta ad arrivare a Strasburgo e ad approdare dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Un pool di avvocati, sostenuti anche dall’associazione Atidu (Associazione territoriale italiana per la promozione e tutela dei diritti umani), è a lavoro per capire, nel giro di pochi giorni, la fattibilità del ricorso, in seguito all’archiviazione, su richiesta degli stessi pm, dell’inchiesta della Procura di Lecce relativa all’interramento di 600 fusti contenenti sostanze cancerogene nella discarica di Burgesi. Nel pomeriggio di mercoledì, il primo incontro operativo, a Parabita, nello studio legale dell’avvocato Carlo Barone. Tutto parte dall’autodenuncia dell’imprenditore di Taurisano Gianluigi Rosafio, già condannato in passato per traffico illecito di rifiuti ma anche colui che, stando al suo racconto, trasportò i barili contenenti Pcb non solo fuori ma anche dentro il sito a cui erano destinati solo rifiuti solidi urbani e gestito da Monteco, nelle campagne tra Ugento, Acquarica del Capo e Presicce.

Rosafio ha puntato l’indice facendo nomi e cognomi di chi quel traffico, di cui lui si è accusato essere stato l’esecutore materiale, lo ha gestito. Ma la decisione del gip Vincenzo Brancato di chiudere la partita senza chiedere alla Procura di andare avanti con gli accertamenti, ora, però, genera un paradosso: Rosafio era l’unico imputato di quel procedimento ed è l’unico su cui rischia di essere scaricato il peso di una milionaria richiesta di risarcimento danni, che il Ministero dell’Ambiente ha già annunciato ad aprile di aver avviato in sede civile.  Rosafio, tuttavia, non può presentare ricorso a Strasburgo direttamente, poiché a lui non spetta la legittimazione attiva. Ed è questo il motivo per il quale si sta provando ad allargare il fronte, coinvolgendo associazioni ambientaliste e Comuni. Non a caso il primo invito è arrivato all’indirizzo del comitato che si occupa della discarica di Burgesi.  

Sulle motivazioni che possano dare sostanza ad un’azione contro lo Stato italiano non si esprimono ancora i legali Vito Faiulo, Paolo Rizzo, Jolanda De Francesco e Patrizia Sabella, queste ultime componenti Atidu. Entro la settimana si capiranno gli orientamenti.  I punti nevralgici restano il diritto alla salute, tutelato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma anche profili processuali: il procedimento penale, in cui non c’erano persone offese, è stato archiviato per intervenuta prescrizione. E questa, secondo i legali, è un’anomalia. Non esiste ancora un orientamento univoco della Cassazione a Sezioni Unite sui reati ambientali, che stando alla linea della Procura salentina dovrebbero essere considerati come reati istantanei con effetti permanenti e pertanto suscettibili di prescrizione, contrariamente, invece, a quanto altre Procure hanno ritenuto, ad esempio nella vicenda Eternit o in quella, molto simile, della discarica di Conversano.

E per “scongiurare strumentalizzazioni”, Atidu vuole ribadire “che l’associazione non ha intrapreso né è allo studio alcuna iniziativa personale per l’imprenditore Rosafio Gianluigi,  con il quale non intercorre alcun rapporto”. Gli avvocati Iolanda de Francesco, Vito Faiulo e Patrizia Sabella, attuali componenti del direttivo Atidu e non legali di Rosafio, rimarcano inoltre che l’associazione, attraverso il proprio Osservatorio sull’Ambiente, anche in sinergia con altre associazioni, “ha interesse alla verifica della sussistenza di  eventuali e/o possibili violazioni dei diritti fondamentali e, più in particolare, quelli relativi alla vita,  alla salute ed all’ambiente.  La problematica, stante la sua complessità, è allo stato, in fase di studio con ogni più ampia riserva”.

 

 

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