Cronaca

Nuova guerra di mala? La compagna di Giancane: “Era tranquillo e lontano dai giri”

MONTERONI – “Lui era lontano dai giri e così tranquillo da andare tutti i giorni ad aprire il negozio e stare lì. Se avesse dovuto avere timore di qualcosa non lo avrebbe fatto”. Parla Katia Leo, la compagna di Roberto Giancane, il 43enne di Monteroni ferito nel tardo pomeriggio di sabato in un agguato nel loro “Mercatino dell’usato” di via Piave, a Copertino.
Se nel Leccese si sta riaprendo una cruenta guerra di mala a colpi di pistola è ancora presto per dirlo e gli inquirenti ci vanno cauti, molto cauti, perché le coincidenze sono tante ma possono essere anche solo temporali. Di certo c’è che sull’asse Monteroni-Casarano si è ripreso a sparare. E pesantemente. Tre gli episodi su cui si cercano possibili collegamenti: l’omicidio di Augustino Potenza, mercoledì pomeriggio, nel parcheggio di un supermercato all’ora di punta nel comune del Basso Salento, è stato preceduto, tra il 5 e 6 settembre, dagli spari contro l’abitazione di Luciano Polimeno, trasferitosi a Casarano ma anche lui di Monteroni, ritenuto vicino ai Tornese. In quello stesso clan, secondo quanto dichiarato a Gazzetta dal procuratore capo Cataldo Motta, non ha mai smesso di essere inquadrato anche Roberto Giancane, quasi ammazzato nelle scorse ore.

Di più. Giancane venne arrestato nel 2008 con l’accusa di aver fatto parte del gruppo che spacciava droga per finanziare la latitanza dello stesso Augustino Potenza, assolto solo due anni fa nel processo che lo ha visto imputato dell’omicidio dei coniugi Fernando D’Aquino e Barbara Toma, risalente al 1998.

Se ci sia un filo rosso tra questi fatti è ciò su cui la Dda sta lavorando, sebbene l’ipotesi di una vendetta a distanza di 18 anni da quella strage appaia difficile. Se, invece, sui carboni rimasti ardenti sotto la cenere per tutto questo tempo si siano innestate nuove guerre di posizione e spartizione è pista tutt’altro che in discesa.

Ciò che è certo è che Giancane, conosciuto con il soprannome di “Nocciolina”, è ancora nel reparto di Rianimazione dell’ospedale San Giuseppe di Copertino, in bilico tra la vita e la morte, dopo l’intervento a cui è stato sottoposto nella serata di sabato. “Non sappiamo se ce la farà – dice ancora la compagna – ci hanno detto di aspettare almeno 48 ore”. È stato centrato da due proiettili al basso ventre. Ma chi ha agito quasi certamente non voleva ammazzarlo. Perché avrebbe potuto farlo senza tanti ostacoli: Giancane era solo in negozio e, per di più, sulla sedia a rotelle su cui è costretto a stare a causa delle ferite riportate in un altro agguato, quello del 20 maggio 2002 davanti alla sua rivendita di frutta e verdura a Monteroni.

Si è presentato da solo in ospedale, trascinandosi a bordo della sua Smart. “Non ha nessun collegamento con il clan Tornese né con l’omicidio Potenza, era diventato tutto casa e lavoro”, ribadisce Katia Leo, già ascoltata in serata dai carabinieri. Assieme a lei sono state messe a verbale le dichiarazioni di altre sei persone ed è stato acquisito il filmato della videocamera di sorveglianza installata su un’abitazione di fronte.

Quelle immagini ricostruiscono la cronaca fino a un certo punto. Ma di sicuro sono state in grado di confermare che i potenziali killer si sono presentati a bordo della stessa Fiat Bravo rubata nel 2015 a Lecce e ritrovata incendiata poco dopo nelle campagne tra Leverano e Nardò.

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