LECCE- Il rombo dei motori dei partiti, su di giri causa lotte intestine per la conquista di posti al sole nelle liste per le europee, copre – almeno per i big – la voce espressione del bersaglio autentico, che parla lingue molto lontane dal francese di Bruxelles, (romano o barese per intenderci), obiettivi per centrare i quali occorre rafforzare il bagaglio di voti o rinverdire leadership messe in discussione da contrasti nazionali.
E’, o era questo, il disegno di Raffaele Fitto e Michele Emiliano, per quanto i vertici di partito urlino, con voce strozzata, “se venite eletti al Parlamento europeo, lì restate”. In realtà è un sibilo – e non di più – perché le ambizioni, e i trofei conquistati, dai portatori di voti – quelli che i consensi li portano a casa a blocchi di migliaia – non possono essere ignorati quando arriva il momento di sedersi a un tavolo e stabilire la gerarchia plasmata dal fuoco delle urne.
Emiliano viaggia pericolosamante sul tracciato disegnato dal premier che prima accarezza i desiderata del segretario del PD di Puglia (da una postazione di governo fino alla – quasi – scontata casella di capolista alle europee, funzionale al compattamento delle truppe per lanciare l’assalto alla presa della Regione) e poi li mortifica senza troppi scrupoli con l’obiettivo di non amplificare le doglianze, almeno in questa fase, di dalemiani e minoranza tutta.
E’ già impegnato a rilucidare l’immagine Emiliano, ammaccata dalle piroette renziane, e interessato a mostrarsi fedele servitore della causa democratica prescindendo da investiture e scippi di candidature: per questo si fa ritrarre pur con qualche mal di pancia, in queste ore, con colei che gli strappato la pole position nella lista per le europee: la campana Pina Picierno.
Della serie, “caro Renzi, sono uomo di partito e non faccio bizze. Non ti sognare di non appoggiarmi alle regionali, quando me la dovrò vedere con l’alfiere di Vendola Dario Stefano”. Se a Bruxelles ci fosse andato, in definitiva, il biglietto di ritorno per Via Capruzzi Emiliano lo avrebbe fatto ben prima del ticket di andata.
Dall’altra parte Fitto, scottato dalla mancata investitura di Berlusconi che gli ha preferito Toti, nonostante i mesi di lavoro ventre a terra alla guida dei “lealisti” anti Alfano, che forse a tutte le scadenze elettorali di rilievo avrebbe guardato fuorché alle europee: gli tocca esibire i muscoli per dimostrare alle new entry del partito, Toti in testa, chi ha i voti in casa azzurra: così da vantare ad Arcore, a urne chiuse, una massa di consensi tale da costringere l’ormai ex Cavaliere a ridisegnare la catena di comando in Forza Italia e a silenziare la voce dell’ex direttore di Studio Aperto che non manca di provocare col placet del capo l’ex ministro degli affari regionali.
Ma il Berlusconi azzoppato dall’affidamento ai servizi sociali e dalle non poche fughe in direzione nuovo centrodestra nello stesso tempo non può permettersi di fare a meno del forziere di voti dell’ex governatore di Puglia, che da tempo cuce relazioni con le prime file del forzismo meridionale.
Gli ammiragli delle due navi, in definitiva, non si curano troppo dei mali di questa unione europea (che in termini di normative e soprattutto di denari impatta sempre di più col livello nazionale); al netto dell’operosità di tanti europarlamentari, a Bruxelles e a Strasburgo non ci vanno i big, di cui avremmo bisogno per tentare il raddrizzare il legno storto di questa Unione a metà.
