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L’allarme Dia: la mafia pugliese si fa “benefattrice” per i settori afflitti dal Covid

ROMA – La previsione della Direzione Investigativa Antimafia non lascia alcun dubbio: il fiuto per gli affari che la mafia pugliese ha sin da subito sviluppato sa certamente trasformare anche una pandemia mondiale in un’occasione.

Obiettivo: allungare i tentacoli sui settori messi in ginocchio dal Covid, offrire loro quel welfare che nulla ha a che vedere con lo Stato, la burocrazia, i tempi governativi. C’è tutto questo nella relazione semestrale stilata dalla Dia, relativa al periodo gennaio-giugno 2020.

E proprio alla luce di queste premesse, sanità, turismo e ristorazione sono indicati come i settori maggiormente esposti al rischio infiltrazione. “Non è arduo – scrivono infatti gli investigatori – preventivare l’avvio di quel processo definito “welfare mafioso di prossimità” in favore delle imprese in crisi”.

Del resto quella pugliese – si legge – si configura sempre di più come una moderna mafia del click, che sposta denaro, lo investe, lo scambia e lo occulta con un colpo di mouse ed entra nel tessuto sano dell’economia e lì si nasconde. E proprio queste peculiarità affaristico-imprenditoriali delle cosche devono essere valutate alla luce dello stravolgimento socio-economico determinato dalla pandemia Covid-19, tenuto conto che l’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown incidono sui profitti derivanti dalle principali attività illecite (in primo luogo sulle estorsioni) e sulle conseguenti strategie operative”.

La relazione continua poi, come sempre, con un focus sulle attività illecite nei singoli territori.

In provincia di Lecce è emerso “lo svolgimento continuativo e perdurante delle più tradizionali: dalle estorsioni al traffico di droga, per finire alla più recente, le scommesse clandestine”.

“Le compagini strutturate – si legge – si stanno evolvendo verso la gestione delle attività criminali in forma “imprenditoriale”, funzionale al processo di infiltrazione del tessuto economico. Si riconferma, quindi e ancora una volta, quanto già emerso in passato, ossia la spiccata vocazione della sacra corona unita leccese verso il settore imprenditoriale, testimoniata dalle intuizioni affaristiche di alcuni giovani luogotenenti, dagli investimenti dei proventi accumulati con la compravendita di droga ed estorsioni, dal controllo delle attività di security nei locali di intrattenimento, soprattutto nell’area di Gallipoli, e, infine, dalla gestione del settore ittico al controllo del gaming“.

Nel Brindisino perseverano le attività criminali dei capi storici della SCU locale “che dalle carceri tendono a gestire le dinamiche delittuose attraverso parenti e affiliati in libertà”. Anche “le donne hanno dimostrato di essere in grado di gestire le attività illecite durante l’assenza dei congiunti reclusi”.

Più in generale, e come per il passato, “il core business della criminalità organizzata del Brindisino è rappresentato, oltre che dal fenomeno estorsivo, anche dal traffico di sostanze stupefacenti grazie a consolidate relazioni criminali con gruppi albanesi“.

Il porto di Brindisi – si legge ancora – costituisce ancora un hub nevralgico anche per l’importazione di merci contraffatte da smerciare nel territorio nazionale, nonché raccordo centrale per l’importazione di tabacchi lavorati esteri e prodotti petroliferi di contrabbando“.

Infine nel Tarantino “le consorterie, benché ripetutamente disarticolate dalle operazioni di polizia giudiziaria, risultano ancora in grado di affermarsi nei rispettivi territori, ossia rioni o quartieri del capoluogo. Nei contesti di degrado ambientale e sociale, conseguenza della precaria situazione occupazionale, maturano i casi di delinquenza giovanile, indicatori di forme ancora più preoccupanti di vera e propria criminalità.

I reati contro il patrimonio continuano a rappresentare un settore illecito sempre appetibile per la criminalità tarantina. Notevole è anche la disponibilità di armi, come confermato non solo dai rinvenimenti e sequestri, ma anche dagli atti intimidatori e da alcuni ferimenti”.

Erica Fiore

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