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Processo “Ambiente svenduto”: chiesti 25 anni per i fratelli Riva e 5 per Vendola

TARANTO – Quattro secoli di carcere quelli invocati dalla Procura di Taranto al margine della requisitoria nel maxi processo “ambiente svenduto”, procedimento sul disastro ambientale e sanitario generato, secondo l’accusa, dalle emissioni nocive dell’ex Ilva di Taranto.

Gli imputati sono 47 (di cui 3 società) e le condanne richieste sono 35. Le accuse vanno dall’ associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale alla corruzione in atti giudiziari, dall’avvelenamento di sostanze alimentari all’omicidio colposo.

La richiesta più pesante è quella invocata dai giudici per i fratelli Riva, ex proprietari dello stabilimento siderurgico: per Fabio Riva invocati 28 anni di reclusione, per il fratello Nicola 25. Secondo l’accusa entrambi avrebbero favorito, tramite illeciti vari, la produzione inquinante incontrollata, piazzandosi ai vertici di quella che è stata definita una vera e propria “associazione a delinquere”.

28 anni di reclusione quelli richiesti poi per l’ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, e per l’ex responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà.

Pene tra i 17 e i 20 anni anche per i dirigenti e i capi area della fabbrica.

Per l’allora governatore Nichi Vendola sono stati chiesti 5 anni di carcere: l’accusa è di concussione nei confronti del direttore di Arpa Puglia.

4 anni quelli invocati per l’ex presidente della Provincia di Taranto,Gianni Florido, e per l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva.

E ancora: 8 mesi per l’assessore regionale Donato Pentassuglia e per l’ex assessore regionale alle politiche giovanili Nicola Fratoianni, accusati di favoreggiamento. Un anno per l’ex direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, chiamato a rispondere dello stesso reato. Prescrizione, invece, per l’ex sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno.

La Procura, inoltre, ha chiesto la confisca degli impianti dell’ex Ilva e di 2 miliardi e 100 milioni di euro, quale cifra equivalente all’illecito profitto in capo alle società coinvolte.

Prima di elencare le richieste di condanna, il pm Mariano Buccoliero ha definito l’incontro tra l’allora gruppo industriale di Ilva e la città di Taranto “un abbraccio mortale”.

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