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Cancro al seno, “è epidemia”: nel Salento si muore più che in Italia e in Puglia

SALENTO- Basta seguire la linea rossa per Lecce, quella azzurra per Brindisi e gialla per Taranto: dimostrano chiaramente che le donne delle tre province salentine muoiono di più per cancro al seno rispetto al resto della Puglia e d’Italia. Ad accendere un faro, ancora una volta, è stata la Lilt leccese, che, nell’ambito del mese rosa dedicato alla prevenzione, non ha avuto timore di usare il termine “epidemia”.

Trent’anni fa il dato dei decessi era inferiore rispetto alla media nazionale: nel 1990, stando ai dati Istat, il tasso grezzo per 10.000 residenti in provincia di Lecce era di 2,7, a Brindisi di 2,1 e a Taranto di 3 contro un 3,7 a livello nazionale. Con gli ultimi dati disponibili, quelli riferiti al 2016, si capovolge la situazione.

Lo dimostra questa tabella: il tasso grezzo italiano e regionale è pari a 4 morti ogni 10mila abitanti per tumori alla mammella; quello di Lecce, invece, è di 4,3 (pari a 173 vittime in un anno), quello di Brindisi è 4,4 (99 donne scomparse), quello di Taranto è 4,5 (141 decessi). Dati che avvicinano questo territorio a quelli delle regioni più esposte (Lombardia con 4,5; Sardegna e Liguria con 4,7; Piemonte con 4,8)

I numeri certificano, in sostanza, che in Italia in questi tre decenni le donne si sono ammalate sempre di più di cancro al seno, ma ancora di più è successo in Puglia e soprattutto nelle tre province salentine. Più incidenza, dunque, cioè ci si è ammalate più che altrove. Ma anche più morti. “E si tratta di un aumento reale – chiariscono da Lilt – e non imputabile, come si sente ripetere, all’allungamento della vita media della popolazione o all’estensione dei programmi di screening, che porterebbero alla scoperta di sempre più casi. Evidentemente, nell’ambiente e nelle abitudini di vita della popolazione sono sempre più in questione fattori di rischio che hanno portato a questo significativo aumento dei casi”. I fattori genetici, infatti, sono responsabili solo del 5 per cento dei casi.

In Italia si ammala di tumore alla mammella una donna su otto e il 30 per cento di loro ha meno di 44 anni. 12.616 i decessi nel solo 2016, ben 853 in Puglia. Ma nessuno parla di queste morti, semplicemente perché “non conviene”. “Nell’immaginario comune – spiegano da Lilt – il cancro al seno è associato a età avanzata ed elevati tassi di sopravvivenza. Un problema risolto, insomma, a detta di esperti che sembrano aver monopolizzato il discorso pubblico sulla malattia. Alle donne cui il cancro al seno è stato diagnosticato e che, giorno dopo giorno, convivono con la malattia è stato cucito addosso il ruolo di eroine indefesse, pronte a tutto pur di ‘sconfiggere il male’. Le altre,’quelle che non ce la fanno’, semplicemente non esistono”. Tacere le morti serve ad aumentare il grande business che c’è dietro le raccolte fondi destinate alla ricerca mediante l’acquisto di prodotti di vario genere contrassegnati dal nastrino rosa, simbolo della battaglia contro la malattia, e la partecipazione a manifestazioni che offrono occasioni di marketing per vari sponsor, dai produttori di cosmetici a prodotti per la casa.

“È tempo – rilanciano da Lilt – di cercare di offrire una visione critica di quella che negli Stati Uniti viene definita da tempo “pink ribbon culture”, la cultura del nastrino rosa, che ha promosso, sino a renderla dominante, un’immagine adulterata del cancro al seno e inibito qualsiasi forma di dibattito sull’epidemia e su come farvi realmente fronte. Occorre finalmente fare breccia nel muro di falsificazioni e strumentalizzazioni e portare all’attenzione dell’opinione pubblica questioni concrete e fino ad ora oscurate come le cause ambientali della malattia e della sua elevata incidenza, i suoi costi fisici, psicologici e sociali”.

 

Tiziana Colluto

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