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Detenuti-scrittori, c’è poesia anche dentro il carcere

LECCE- “Contro certe punizioni, bisogna armarsi di poesia”, dice uno di loro sul palcoscenico. E quelle punizioni li riportano bambini: stare in equilibrio su un piede solo, come imposto dalla maestra. O una settimana a casa con la nonna, per volere del papà. E le “mazzate, quante mazzate”, uguali, nella comunità ospitante o nella buona famiglia che paga le scuole private. Tante fino a “farsi invisibile”, a scappare di casa “per andare con gli zingari”, a 14 anni. C’è il senso di colpa, che inizia col raggiro della vecchina: mezza moneta per un pacco di caramelle. Quindici storie. Una sola storia, nel teatro del carcere di Borgo San Nicola.

Nel pomeriggio di mercoledì 5 dicembre, è stato come guardare dalla crepa di un muro l’umanità che c’è dietro, umanità restituita in parole, piene di sbagli, certo, di reati, ovvio, colme di penitenza eppure di speranza.

Quello “restituito” è il frutto del Terzo Studio “Vide Cor Meum” del collettivo Rosa dei Venti, che da due anni, ogni giorno, dal lunedì al venerdì, tiene un laboratorio di scrittura dentro la biblioteca della sezione maschile, sotto la guida della scrittrice Luisa Ruggio e con la ricerca fotografica di Veronica Garra. Sul palco non ci sono attori che recitano una parte, ma ci sono persone che portano in dote il loro vissuto. Un esercizio che ha un senso. Il progetto del collettivo ne ha partorito anche un altro: due detenuti sono impiegati come bibliotecari nella Biblioteca provinciale Bernardini.

Tanta emozione, tanta immedesimazione, sciolta in un lunghissimo applauso finale, tutto il pubblico in piedi, ognuno con la sua elaborazione. E con la mente alle parole di Pasolini: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati”.

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