Attualità

“Metodo Salento”, dal New York Times ombre sull’alta moda

LECCE- Le ombre si allungano sull’alta moda italiana e riguardano anche la provincia di Lecce. Parla di “Metodo Salento” il New York Times, tra le testate più importanti degli Stati Uniti, riportando vicende giudiziarie note sul territorio nel reportage “Dentro l’economia ombra dell’Italia”, inchiesta “all’interno di un mercato del lavoro in difficoltà”, nel quale “migliaia di lavoratori a domicilio a basso reddito creano abiti di lusso senza contratti o assicurazioni”. Si racconta, anche con testimonianze anonime, il lavoro di migliaia di donne che ricevono un euro per ogni metro di stoffa cucita o ricamano paillettes per 1.50-2 euro l’ora.

Da Santeramo in Colle a Ginosa fino a Casarano, dove si racconta il caso della Keope srl, società finita in bancarotta e che per questo ha fatto causa alla Tod’s, marchio di lusso della calzatura italiana, oltre che ad Euroshoes, fornitrice della prima. La prossima udienza del processo è prevista per il 26 settembre.
Il “Metodo Salento” è la prassi definita così dall’avvocato Eugenio Romano, che da cinque anni difende Carla Ventura, titolare di Keope. Significa sostanzialmente: “Sii flessibile, usa i tuoi metodi, sai come farlo qui”. Cioè, “anche se i marchi non suggerirebbero mai ufficialmente di sfruttare i dipendenti – ricostruisce il Nyt – alcuni proprietari di fabbriche hanno detto al signor Romano che esiste un messaggio di fondo per usare una serie di mezzi, tra cui sottopagare i dipendenti e pagarli per lavorare a casa”. Una flessibilità estrema favorita dalla vulnerabilità della forza lavoro, a sua volta prodotta dall’alto tasso di disoccupazione.

Un articolo complesso, pubblicato nel giorno in cui a Milano inizia la fashion Week con il green carpet. Anche per questo le prime reazioni non si sono fatte attendere e arrivano tra l’altro proprio da un leccese, lo stilista Carlo Capasa, presidente della Camera della moda. Capasa parla di “attacco vergognoso e strumentale”, a suo avviso fatto “in maniera indegna” contro i brand citati come Max Mara (che oggi ha aperto la seconda giornata di Milano Moda Donna) e di Fendi (altro marchio in passerella oggi). “Io sono pugliese e la Puglia non è il Bangladesh – ha proseguito – . Citano fonti sconosciute e dicono anche che in Italia non abbiamo una legge sul salario minimo e questo è grave: le nostre – sottolinea – sono aziende serie, se i subcontratti hanno fatto delle stupidaggini questo va perseguito. Se poi volevano demonizzare il lavoro domestico – prosegue – trovo che sia sbagliato, ha un senso purché sia ben pagato”.

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