Cronaca

I soldi dell’usura per sostenere il clan, sotto chiave beni per 13 milioni di euro

LECCE- I soldi dell’usura e delle estorsioni servivano a sostenere il clan: un’organizzazione “anomala”, non propriamente mafiosa nel Dna, ma con l’aggravante della finalità mafiosa, perché finanziava il sodalizio dei Coluccia di Galatina. Ecco perché a carico del gruppo di presunti usurai, già fiaccato dagli arresti del settembre scorso, sono stati sequestrati beni per un ammontare di 13 milioni di euro.
Il provvedimento, emesso il 23 marzo dalla Seconda sezione penale di Lecce, riunita in funzione di Tribunale di Prevenzione, è stato eseguito in mattinata dagli uomini del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, al comando del colonnello Nicola De Santis. Sotto chiave sono finite due gioiellerie, una società immobiliare, due società di commercio all’ingrosso di preziosi e due supermercati, gli stessi già sequestrati a novembre e affidati ad un amministratore giudiziario. Non solo, sigilli anche a 24 tra abitazioni, garage e locali commerciali, un terreno, 21 auto e moto. Tutti gli immobili sono ubicati a Lecce, Galatina, Aradeo e Melendugno. Il sequestro ha riguardato, inoltre, 54 conti correnti e otto rapporti assicurativi e fondi pensione. Un patrimonio, per gli inquirenti, decisamente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.

Un colpo pesante, dunque, a carico degli otto uomini ritenuti a capo dell’associazione a delinquere, stando alle indagini condotte dal sostituto della Dda Alessio Coccioli: si tratta dei fratelli Mario e Luciano Notaro e del figlio di quest’ultimo Gianluca; del cognato Luigi Sparapane; di Carlo Palumbo e dei figli Francesco, Massimiliano e Carlo junior. Tranne questi ultimi due, tutti gli altri erano stati arrestati sette mesi fa assieme ad altre tre persone. “Restarono poco in carcere – ha ricordato il procuratore Motta in conferenza stampa presso il comando delle Fiamme Gialle – ma ci sono indizi sufficienti per poter procedere al sequestro, per far ritornare quei soldi nelle casse dello Stato”.

I proventi dell’attività illecita venivano utilizzati anche per acquistare case alle aste giudiziarie, con tanto di minacce e ritorsioni per avere campo libero.

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