Una storia fatta di radici lontane, di partenze, ritorni e fragilità che hanno trovato la loro tragica fine martedì scorso nelle acque di Torre dell’Orso. Najoua Minniti, per tutti Gioia, aveva 36 anni. Avrebbe ucciso suo figlio Elia, nove anni, prima di togliersi la vita in mare. Un gesto disperato, figlio di una sofferenza che si portava dentro da tempo, ma che nessuno aveva mai immaginato potesse trasformarsi in una tragedia così profonda.
Nata a Polistena, in Calabria, da madre tunisina e padre turco, Najoua era cresciuta tra culture diverse. Dopo undici anni a Parma, nel 2020 era tornata nel Salento insieme al compagno Fabio e al loro bambino. Poi, nel 2023, la separazione: un passaggio doloroso, scandito da denunce reciproche, segnalazioni ai servizi sociali, verifiche giudiziarie e un affidamento congiunto mai davvero sereno.
«Il quadro era altamente conflittuale», spiega l’avvocato Armando Cazzetta, che aveva assistito la donna in alcune battaglie legali. «La separazione nell’agosto 2023 ha rappresentato per lei un forte trauma. Per mesi ha vissuto stress, paura, instabilità. Tuttavia nel 2025 i servizi sociali avevano rilevato un miglioramento: la relazione conflittuale con l’ex compagno continuava, ma la fase di criticità acuta sembrava superata. Anche se permanevano le importanti difficoltà economiche che gravavano sul suo equilibrio».
L’ultima volta che l’avvocato ha incontrato la sua assistita è stato una settimana fa: «Era provata — racconta — ma non c’era alcun indizio che potesse far pensare a un epilogo del genere».
Intanto resta aperto il fascicolo a carico di ignoti, un atto dovuto per permettere l’esame autoptico che sarà eseguito nella giornata di lunedì, anche sul corpicino del piccolo Elia.
