PUGLIA – 1392 in Puglia, 262 in provincia di Lecce, 352 Brindisi, 436 a Taranto. Sono i beni confiscati alla mafia e destinati a un riuso sociale. I numeri, tuttavia, non bastano a certificare una situazione complessa e delicata allo stesso tempo. Perché le buone intenzioni del legislatore, a volte, si scontrano con la brusca realtà. Ma andiamo con ordine. La normativa che consente di utilizzare i beni confiscati alla mafia segue un iter ben preciso. Il primo step è squisitamente amministrativo: una volta individuato il bene ad uso e consumo di organizzazioni criminali, viene sequestrato e poi confiscato dallo Stato in prima battuta e successivamente in via definitiva. A quel punto passa nelle mani dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Le strade, in questo caso sono diverse: l’Agenzia può decidere di destinare i beni che avranno una “veste” statale, come la nuova sede di una caserma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza, o di un Comando dei Vigili del Fuoco, e via discorrendo.
Ma nella stragrande maggioranza dei casi i beni confiscati alla mafia vengono assegnati direttamente agli enti locali, soprattutto ai comuni che li utilizzano per le loro finalità. In alternativa possono decidere di assegnarli, previo avviso pubblico, a organismi del terzo settore come associazioni e cooperative sociali. Un percorso lineare sulla carta ma che appare tortuoso, per una serie di ragioni messe nero su bianco in un report della Corte dei Conti. Primo: la carenza di informazioni, difficili da reperire. Non si riesce a comprendere quanti siano esattamente i beni classificati, dove siano localizzati e quale sia il loro reale stato di conservazione. Secondo: le risorse disponibili a volte sono scarse. Ergo: la gestione del bene diventa assai complicata anche perché spesso si “ereditano”, per così dire, immobili in cattiva stato di conservazione, vandalizzati dagli stessi criminali. In ultima analisi i tempi, esageratamente lunghi per via del complesso iter burocratico e dei numerosi attori messi in campo. C’è di più. “Il terzo settore – sottolinea Francesco Capone, referente provinciale di Libera – dovrebbe far leva su adeguate capacità progettuali, al fine di gestire – anche soprattutto sul piano economico – con oculatezza ed efficacia il bene assegnato”.
Emblematica la notizia del fallimento della cooperativa Terre di Puglia – Libera che gestiva i terreni confiscati alla Sacra Corona Unita nel brindisino Insomma, per giungere ad un effettivo percorso virtuoso c’è ancora tanta strada da fare.