TELERAMA – Benvenuti gentili e soprattutto curiosi lettori di TeleRama, al consueto appuntamento settimanale con Cineclub, dove i protagonisti assoluti sono le uscite più attese nel mondo del cinema.
Cominciamo le proposte di questi giorni, parlandovi di robot ed infanzia con l’ultima avventura d’animazione targata Dreamworks Il robot selvaggio di Chris Sanders. Ultima non solo per questioni distributive, ma in realtà perché lo studio ha annunciato che non si occuperà più della creazione dei suoi prodotti d’animazione e che lascerà il compito a delle case di produzione esterne. Questo lungometraggio, che sta facendo parlare molto di sé oltreoceano, è un adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo datato 2016. La trama è abbastanza semplice e banale in realtà: il protagonista è Roz, un robot che è naufragato su un’isola disabitata dagli umani ma popolata da tantissime specie diverse di animali. Un essere che senza l’umanità non avrebbe potuto nemmeno essere concepito, si ritrova così ad imparare da ciò che è più diverso da lui, ovvero dalla natura selvaggia. Oltre a dover pensare alla sua esistenza, il robot adotterà una piccola ochetta rimasta orfana, trasformandosi nella sua mamma. Esattamente come la sua controparte cartacea, quest’opera è già considerata come un classico del genere che vedrà consolidarsi il suo status nel tempo. Un lavoro che si aggiunge all’olimpo dei migliori lavori della casa di produzione, soprattutto perché come molti suoi predecessori riesce a concretizzare un’alternativa di grande qualità ai tantissimi lavori targati Disney e Pixar.
Passiamo dalla natura selvaggia ed i suoi tanti colori al bianco e nero con Quarto potere, uno dei tanti capolavori, forse però il più noto, del regista Orson Welles che è tornato in sala nella sua versione restaurata. La pellicola del 1941, girata interamente in bianco e nero, viene considerata da tantissimi critici come ma migliore opera cinematografica della storia. Anche se su questa massimo ci si può, ovviamente, trovare sia d’accordo sia in totale disaccordo, fatto sta che la creatura di Welles è senza alcun dubbio una delle opere maggiormente influenti all’interno della settima arte, creando e consolidando dei linguaggi filmici che diverranno la base fondante per le nuove generazioni di registi. La trama della pellicola si concentra sul ricostruire, tramite frammenti di memoria, la misteriosa figura del magnate della stampa Charles Foster Kane, uomo rimasto solo che attende la morte nella sua gigantesca residenza Candalù ( Xanadu in inglese, come la città d’oro del racconto di Coleridge “Kubla Khan”). Gli spettatori sono invitati a ricostruire la personalità del Magnate, tramite l’utilizzo di flashback e frammenti. La domanda “chi è Rosabella?” guida la curiosità dello spettatore, motivandolo ad investigare nei rapporti di Kane per tutta la durata della pellicola. Una domanda che troverà un risposta si, ma non quella che il pubblico ci si aspettava, scoprendo che Rosabella, ultima parola pronunciata da Kane sul punto di morte, in realtà era il nome della sua slitta d’infanzia e non di una fantomatica donna. Questo, per esempio, può essere considerato come uno dei primi esempi di Macguffin cinematografico, ovvero quello strumento narrativo reso famoso da Alfred Hitchcock che consiste nell’inserire all’interno della storia un elemento importante per i personaggi e conseguentemente per il pubblico, che in realtà si rivela inutile al fine degli sviluppi della trama. Oltre che per la sua sceneggiatura, il film è stato una perla d’innovazione, avendo utilizzato in maniera sistematica e consapevole la profondità di campo e i piani sequenza, creando conseguentemente dei raccordi di scena tuttora utilizzati dai cineasti. Memorabile anche l’angolo olandese impiegato durante il discorso di Kane alla folla, rimasto alla storia e ampiamente citato successivamente. La tecnica di ripresa viene solitamente utilizzata per rappresentare disagio, tensione o squilibrio, ponendo l’orizzonte diagonalmente in confronto ai bordi del frame. Uno dei suoi primi utilizzi fu nell’espressionista “Il gabinetto del dottor Caligari” di Robert Wiene. Nel cinema moderno sono memorabili gli utilizzi di: Sam Raimi nella saga de La Casa e quello di Terry Gilliam nel distopico Brazil.
E concludiamo anticipandovi il nuovo e controverso dramma fantascientifico Megalopolis di Francis Ford Coppola. Controverso si, perché fin dai suoi albori è stato un progetto difficile da realizzare, soprattutto a causa della sua pomposità concettuale e formale. Un lavoro mastodontico, partire dai tantissimi volti noti che compongono il cast sino alla complessità delle scenografie utilizzate. L’opera narra la storia di Cesar Catilina, si esattamente come il personaggio della Roma Antica, un architetto che decide di utilizzare una sua scoperta per rimodellare la decadente città immaginaria di New Rome secondo un suo sogno utopistico di speranza. Il suo disegno però viene ostracizzato da parte del sindaco, corrotto e conservatore. Riuscirà il nostro genio ad infondere una nuova linfa vitale all’umanità? Riuscirà a lasciare un’eredità solida e fiorente alle nuove generazioni? Un lungometraggio particolarmente introspettivo, dove è evidente che il regista stesso si pone al centro della sua analisi filmica, cercando di riflettere su quale sarà il suo lascito per i futuri visionari e sognatori.
Quest’opera, esattamente come quella del protagonista del film, ha dovuto affrontare tantissime difficoltà per riuscire ad arrivare nelle sale: prima produttive, poi distributive ed infine l’accoglienza negativa da parte della critica. Ciononostante, questa nuova odissea del regista ormai 85enne è un’opera che trasuda quella magia che è tipica della pomposità intrinseca del cinema e soprattutto del cinema di una volta: una visione quindi imperdibile per chi intende l’esperienza cinematografica come un evento immersivo unico che materializza sogni ed incubi.
