Attualità

Sciopero generale, i sindacati: “Dal governo solo promesse”

LECCE – Alzare i salari, estendere i diritti, contrastare una legge di Bilancio che non ferma il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati e non offre futuro ai giovani. Questi i punti cardine con cui le organizzazioni sindacali sono scese in piazza a Lecce, come in tutta Italia, e per chiedere a gran voce un’altra politica economica, sociale e contrattuale, che non solo è possibile ma necessaria e urgente. Un’adesione, da parte degli iscritti a Cgil e Uil, che ha creato non pochi disagi nel settore dei trasporti, della pubblica amministrazione, della scuola e dei settori i cui dipendenti per quattro ore hanno incrociato le braccia. Le sigle sindacali si sono date appuntamento davanti alla Prefettura di Lecce, dove poi i segretari sono stati ricevuti dal Prefetto. Secondo Cgil e Uil, il Governo non ha ancora fornito alcuna risposta all’emergenza salariale. Aveva annunciato 100 euro in più nelle buste paga, ma in realtà ha confermato salari già falcidiati – in media del 17% – dall’inflazione. E ancora: Prometteva di “rilanciare la contrattazione collettiva”, dicono i sindacati, ma non stanzia le risorse necessarie a rinnovare i contratti del pubblico impiego e a sostenere i rinnovi nei settori privati. Voleva incrementare la spesa sanitaria, ma continua a indebolire il servizio sanitario pubblico. Ha tagliato le risorse alla scuola pubblica, alle politiche sociali, alla disabilità e non mette nulla per la non autosufficienza ed il trasporto pubblico locale. “Voleva cancellare la legge Fornero e invece la peggiora, stabilendo uscite insostenibili a partire dal 2024” In dodici mesi, dicono da Cgil e Uil, non si è visto un intervento sul lavoro stabile e di qualità o contro la precarietà, anzi si sono reintrodotti i voucher ed è stato liberalizzato il lavoro a termine. Non c’è stato alcun investimento concreto per migliorare la vita e il lavoro delle donne. La riforma fiscale portata avanti, a parità di reddito tassa di più i salari e le pensioni rispetto ai profitti, alle rendite finanziarie e immobiliari, al lavoro autonomo benestante. Da qui, la richiesta di una inversione di tendenza prima che la situazione precipiti ulteriormente.

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