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Omicidio Angela Petrachi: Giovanni detenuto innocente, processo “costruito”. Sul corpo due dna, ma non il suo

LECCE- “Ci chiede di camminare a testa alta, perché quell’omicidio efferato lui non lo ha mai commesso”. È l’invito che Giovanni Camassa di Melendugno, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Angela Petrachi avvenuto 18 anni fa, rivolge ai suoi fratelli Cosima, Caterina e Tonio che della sua innocenza non hanno mai dubitato e che non si sono mai arresi.

Il fratello, assolto in Primo Grado per non aver commesso il fatto dopo 3 anni e 8 mesi di processo e immediatamente scarcerato è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Appello di Lecce. Una sentenza ribaltata che per tutti è stata una doccia fredda, un incubo. Eppure, dicono i fratelli, tra le due opposte decisioni dei giudizi, niente era cambiato. Per questo parlano di un processo indiziario, dove non c’è la prova regina, dove manca il movente. Lunedì 8 giugno però è una data importante. I giudici della Cassazione dovranno decidere se riaprire o meno il processo, sulla base di nuove prove scientifiche che l’avvocato di Camassa, Ladislao Massari ha presentato: due Dna diversi, uno di uno sconosciuto, l’altro di una persona identificata: un pelo e alcune tracce biolgiche trovate sulle calze di nylon. Quello di Camassa invece sul corpo di Angela non è mai stato trovato. La novità arriva dalla consulenza redatta del prof. Adriano Tagliabracci, docente di medicina legale presso l’Università delle Marche e genetista forense, che si è occupato dei casi, per citarne alcuni, di Meredith Kercher o Melania Rea.

“Le indagini tecniche e scientifiche si sono evolute, sono emerse nuove prove che non possono essere trascurate- dicono i familiari- si è voluto cercare a tutti i costi un colpevole concentrando l’attenzione su mio fratello e tralasciando tutto il resto. Angela si era rivolta a lui perché voleva un cagnolino per i suoi figli, Giovanni, che è buono, non le ha saputo dire di no

Era il 26 ottobre del 2002 quando la donna, madre di due bimbi piccoli scomparve, per poi essere ritrovata senza vita in un bosco di Melendugno. L’assassino l’aveva violentata e poi aveva infierito sul corpo. I familiari, insieme alla moglie Monia, chiedono ora giustizia gridando la sua innocenza anche con delle locandine affisse in città. “Giovanni è innocente, dicono, il vero assassino è invece libero”.

 

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