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Monteruga, il borgo spettrale. Eccolo, dopo 40 anni di abbandono

VEGLIE – Da quando la vita a Monteruga se n’è andata, circa 40 anni fa, gli unici turisti che hanno raggiunto questo luogo spettrale sono stati gli amanti del pananormale. Sì perchè quello che negli anni ’50 era un ridente paesino nato intorno ad una masseria e in grado di auto-sostenersi, oggi altro non è che il simbolo dell’abbandono, della crisi in grado di divorare tutto, come del resto è accaduto qui dopo la privatizzazione dell’azienda agricola che ha dato nome e vita al borgo.

Quello che resta è un vero e proprio villaggio fantasma al quale, ad oggi, non è toccata in sorte nessuna seconda possibilità. E così noi abbiamo deciso di farci ritorno.

Il borgo rientra nell’agro di Veglie, all’incrocio tra i quattro feudi di Nardò, Avetrana, San Pancrazio e Salice Selentino. Per accedervi utilizziamo un ingresso secondario, attraversando le campagne tutt’intorno. All’ingresso dobbiamo però “fare i conti” con il custode che, dopo un primo diniego, acconsente infine ad una breve visita. Di fatto l’uomo ribadisce che Monteruga, da più di 6 anni, è proprietà privata: ad acquistarla fu l’allora patron del Palermo Calcio, Maurizio Zamparini, che lì aveva immaginato una “riconversione d’uso in un insediamento turistico misto, comprensivo di struttura alberghiera e unità abitative“. Progetto, ad oggi, mai depositato.

Quello che di nuovo è stato aggiunto a Monteruga, come si vede nelle immagini, si riduce a cartelli di avviso e scritte spray sui muri che rimarcano la fatiscenza e la pericolosità degli stabili sopravvissuti al tempo e all’abbandono.

La piazza centrale è ancora intoccata: con la corda si è proceduto a delimitarne il perimetro, restituendo ancor di più la sensazione di trovarsi davanti ad un gioiello di antiquariato.

In fondo alla piazza c’è una chiesa, il portone è sfondato. Ci sono ancora le panche e da un momento all’altro ci si aspetterebbe di veder entrare qualche fedele. È vero, i calcinacci hanno ricoperto l’altare e in parte anche il pavimento, ma tutto sommato la struttura appare in buone condizioni, tanto da sembrare abbandonata soltanto qualche giorno fa.

Torniamo all’esterno, ci allontaniamo dalla piazza e percorriamo il porticato dove un tempo vi erano le dimore dei contadini (anche stagionali) fino ad arrivare a 800 abitanti. Qui la situazione degli stabili è critica: i crolli strutturali sono importanti. Le porte e le finestre sono ancora lì ma entrare dentro è davvero rischioso.

A Monteruga c’era tutto e di fatto c’è ancora: la scuola rurale e la caserma, la chiesa e il dopolavoro, la piazza e il campo da bocce.

In questi giorni, quelli dedicati ai festeggiamenti di Sant’Antonio, l’agglomerato di epoca fascista si vestiva a festa. Adesso in quello che avrebbe potuto essere uno dei borghi più belli d’Italia restano soltanto i ricordi.

Abbandoniamo dunque Monrteruga con un’unica certezza. “Impossibile – riferisce il custode – ottenere delucidazioni sui progetti futuri direttamente dalla bocca del suo proprietario“.

Ad abitarci, oggi, è soltanto il guardiano, in uno stabile fresco di costruzione. Qui dove anche il futuro, come il passato, sembra ormai uno spettro.

Erica Fiore

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