Politica

Fumata nera del Consiglio regionale (anche) sull’ex Ilva

BARI – Non sono bastate 6 ore e una emergenza senza fine per indurre il Consiglio regionale pugliese a trovare la quadra mostrandosi compatto nelle richieste da avanzare per tamponare la crisi in cui è precipitata Taranto, dopo il dietrofront di Arcelor Mittal. Non c’è accordo, non ci sono spiragli per sintetizzare in un documento unitario le tre mozioni presentate dai partiti. Quindi nulla di fatto. Se ne riparlerà mercoledì.

Eppure per tutti la seduta monotematica era una necessità impellente. Ma tant’è.

Nella relazione introduttiva durata quasi due ore, il governatore Michele Emiliano ha ricostruito la cronistoria del braccio di ferro tra Regione e Governo centrale su Ilva. Da quando il presidente del Consiglio era Matteo Renzi, sino alle ripetute richieste di decarbonizzare il siderurgico, di intrecciarlo con il gasdotto Tap, di opporsi impugnando il decreto del presidente del Consiglio. “E’ vero che la fabbrica è importate – ha detto Emiliano – ma nella mia testa e nella Costitzione Italiana la salute e la sicurezza sul lavoro vengono prima”. “Per questa vicenda – ha aggiunto – stato isolato nel Partito Democratico, sono stato isolato nel rapporto con il sindacato”.

L’assessore tarantino Cosimo Borraccino ha ricordato come “la chiusura della fabbrica comporterebbe un danno sanitario gravissimo”.

Ma le opposizioni hanno puntato il dito sul discorso del governatore: “una lunghissima rassegna stampa” è l’accusa unanime. Mentre i 5 Stelle hanno sollecitato una posizione condivisa dicendosi disponibili a trovare una sintesi, Fratelli d’Italia ha sottolineato come siano mancate proprio le proposte concrete. Per Forza Italia, invece, la richiesta da presentare al governo è il ripristino della protezione legale e il completamento del piano ambientale.

Ma le mozioni presentate sono inconciliabili. E le accuse, a tarda sera, volano. Emiliano ha puntato il dito sugli oppositori, “avete nominato me ma mai Arcelor Mittal”. Mentre dalle minoranze si è continuato ad accusare la mancanza di proposte condivise.

Alla fine è toccato al presidente dell’assise Mario Loizzo chiudere la partita e mandare – i pochi rimasti – a casa. Le richieste da inviare al governo e, dunque, ad Arcelor erano inizialmente quattro: il rispetto del contratto, il mantenimento degli impianti in attività, la tutela dell’indotto, l’assicurare a Taranto interventi che superino l’era dell’acciaio. Si tenterà di trovare un accordo nuovamente mercoledì.

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