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Impianto amianto a Cavallino, 4 sindaci proclamano “stato di agitazione sociale”

CAVALLINO- Già durante le conferenza di servizi si sono messi di traverso all’impianto sperimentale di trattamento dell’amianto, realizzato ma non ancora autorizzato, a Cavallino. Ora i quattro sindaci di

Lizzanello, San Donato, San Cesario di Lecce e Lequile rilanciano la battaglia invocando la cessazione immediata delle attività di realizzazione “per il gravissimo impatto sociale – dicono – che l’impianto ha sulle popolazioni già vessate dall’accumulo di impianti di stoccaggio e trasformazione di rifiuti solidi urbani e di rifiuti speciali”.

I sindaci Fulvio Pedone, Alessandro Quarta, Fernando Coppola e Vincenzo Carlà annunciano che si riuniranno congiuntamente in un Consiglio comunale aperto alla partecipazione dei cittadini, dei comitati e delle associazioni locali per deliberare su quello che definiscono “grave stato di agitazione sociale” dovuta alla pressione sanitaria e ambientale ed alla necessità di porvi rimedio in maniera definitiva ed istituzionale.

Accusano l’amministrazione di Cavallino di “inaccettabile superficialità” dopo aver “negli ultimi vent’anni saturato la nostra area urbana, i nostri territori, i nostri abitati, la nostra atmosfera con realizzazioni industriali nel settore ambientale, gravemente invasive”. Se la prendono anche con il commissario dell’Agenzia regionale rifiuti, Gianfranco Grandaliano, e con la Regione Puglia perché, a loro avviso, sanno “fare solo spallucce”.

“Dobbiamo poterci difendere dall’inquinamento provocato da altri – aggiungono – per questo pretendiamo partecipazione massima dei nostri Comuni e scelte condivise. Dobbiamo ridiscutere tutto”. Chiesto dunque un incontro urgente al prefetto, a Grandaliano e al governatore Emiliano. Si invoca una normativa speciale attraverso la quale disporre l’organizzazione di un potere di controllo sulle attività degli impianti in capo non solo al Comune di Cavallino ma a tutti quelli interessati dall’impatto ambientale e sociale provocato dal cumulo di strutture nella stessa area, “nonché per il riconoscimento annuale di un contributo economico a fondo perduto perché le popolazioni colpite possano ridurre dell’ 80 per cento la Tari”.

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