TORCHIAROLO- I caminetti di Torchiarolo inquinano tanto quanto la centrale a carbone di Cerano e tutto il polo industriale di Brindisi. Pertanto, vanno tenuti spenti. È la conclusione, paradossale ma vera, a cui è giunto il Consiglio di Stato, anche avvalendosi di una consulenza tecnica di alto profilo che ha confermato quanto già rilevato da Arpa e Regione Puglia. I giudici di secondo grado hanno accolto, infatti, l’appello della Regione che ha impugnato la sentenza del Tar che ha di fatto congelato il suo piano del 2013.
Una questione complessa, per spiegare la quale bisogna fare un passo indietro. Tutto parte dagli sforamenti di Pm10, le polveri sottili tra le principali cause di tumori alle vie respiratorie, registrati dalle centraline installate in zona. Nel 2011, Comune, Regione, Provincia di Brindisi e Arpa Puglia sottoscrissero un protocollo d’intesa con cui il Comune si impegnava a ridurre l’inquinamento da combustione di biomassa e la Regione a sostenere l’intervento con un finanziamento pari a 105.000 euro. Nel dicembre 2013, la Regione approvò poi altre misure di intervento con un piano impugnato dal Comune, che nel 2015 ha avuto ragione in primo grado dinanzi al Tar di Lecce. Quella sentenza è stata impugnata dalla Regione, con intervento ad adiuvandum di Enel e la presenza in giudizio anche di Arpa, difesa nell’udienza di dicembre scorso dall’avvocato Luca Vergine.
Il Comune ha sempre lamentato il fatto che la Regione abbia approvato quel piano senza prima esperire il procedimento di VAS e ha contestato anche il fatto che avesse individuato, come causa principale dell’inquinamento, la combustione di legna legata alle attività agricole stagionali e usata per il riscaldamento residenziale, senza compiere un’approfondita istruttoria per accertare se tra le fonti del particolato ci fossero la vicina Cerano e il polo industriale brindisino.
La questione giuridica: per il Consiglio di Stato, il piano di risanamento non doveva essere preceduto dalla procedura di Valutazione ambientale strategica, poiché il suo l’obiettivo era quello di ridurre i livelli di inquinanti, risanando una condizione ambientale già compromessa, mentre l’obbligo di prevedere la Vas ci sarebbe stato nel senso contrario, cioè nel caso in cui il piano avesse avuto impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale. Tra l’altro, in questo caso, l’esclusione dalla Vas era stata determinata a condizione del rispetto di sei prescrizioni (tra cui la predisposizione del piano di monitoraggio, l’anticipazione del riesame del provvedimento AIA delle centrale termoelettrica di Brindisi Cerano, la verifica del regime vincolistico, l’organizzazione di seminari informativi).
Poi, il cuore della vicenda: il Consiglio di Stato ha disposto una verificazione tecnica finalizzata ad accertare quale sia l’origine del superamento dei valori limite di PM 10, affidandosi al direttore del Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. La prima relazione tecnica è stata integrata da un’ulteriore relazione all’esito del contraddittorio con i consulenti di parte. È stata voluta per verificare, in particolare, se gli sforamenti registrati dalle centraline fossero da imputare ai camini delle case e alla combustione di legna legata alle attività stagionali o, al contrario, alle emissioni provenienti dalla centrale di Cerano dell’Enel o da altri stabilimenti inclusi nel polo industriale di Brindisi.
La conclusione a cui si è giunti è che «le “attività domestiche”– combustione di legna legata alle attività agricole stagionali ed utilizzo di biomassa legnosa negli impianti di riscaldamento residenziali- del comune di Torchiarolo e le attività industriali della Centrale Enel Federico II e del complesso industriale di Brindisi contribuiscono in maniera pressoché equivalente al particolato atmosferico misurato nell’area di Torchiarolo. Le attività industriali contribuiscono prevalentemente al particolato secondario, ovverosia a quello formato per trasformazione in atmosfera di inquinanti inorganici per effetto della radiazione solare, mentre le “attività domestiche” contribuiscono all’emissione di particolato primario di natura essenzialmente organica. Il superamento dei limiti di emissione del PM10 è causato dall’attività domestica che, sommandosi ad un valore di fondo della concentrazione di PM superiore a quello misurabile in altre aree della stessa regione o di regioni limitrofe, determina il raggiungimento di soglie di concentrazione media giornaliera superiori a quelle di legge».
Tiziana Colluto