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L’annuncio di Di Maio a Taranto: “Abolita immunità penale per i vertici Ilva”

TARANTO – Ha chiesto il conto dei 90 milioni di euro stanziati in favore del capoluogo ionico, poi l’annuncio: l’immunità penale per chi gestisce il siderurgico è stata abolita.

Il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio arriva in mattinata in una Taranto blindatissima: intorno alla prefettura campeggia un’ampia zona rossa che ha impedito agli ambientalisti, intenzionati a protestare, di raggiungere la prefettura. Lì si è tenuto il tavolo permanente per il Contratto istituzionale di sviluppo, convocato a partire dalle 10 dopo un anno di stop, alla presenza anche di altri 4 ministri pentastellati: della Salute, Giulia Grillo, dell’ambiente Sergio Costa, del Sud Barbara Lezzi e il responsabile dei Beni culturali, Alberto Bonisoli. Presenti anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, la commissaria governativa per le Bonifiche, Vera Corbelli e i sindaci di Taranto e dei comuni limitrofi.

Al margine dell’incontro, si diceva, l’annuncio: “L’immunità penale, di cui godevano i vertici Ilva e che permetteva loro di godere di alcune esimenti legate a reati ambientali e legate ad alcuni reati odiosi che hanno fatto tanto male ai cittadini di Taranto, da agosto non avrà più effetti nel nostro ordinamento. Sono venuto qui anche per chiedere conto del miliardo di euro stanziato per Taranto ma che non è stato speso – ha aggiunto – Sono tornato qui dopo tanti mesi perché volevo portare i fatti e capisco la rabbia della città”.

In piazza Giovanni XXIII, intanto, le associazioni ambientaliste scandiscono ad alta voce la propria rabbia: “Siete la vergogna d’Italia” e ancora “Di Maio inganna popolo vattene”, in riferimento alla promessa elettorale, ormai archiviata, di chiudere lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Al grido di “traditori” contestato anche un gruppo di attivisti del meetup locale con in mano una bandiera a 5 stelle.

Un clima, questo, che Di Maio aveva previsto e preannunciato in un post pubblicato in serata su fb e oggetto di polemica: “Conosco benissimo il clima di rabbia e frustrazione in cui versano le persone di quel territorio – ha scritto alla vigilia della tappa tarantina- Dopo decenni di soprusi la fiducia la perderebbe chiunque. Non avrò quindi io la presunzione di pretenderla già da domani”.

Al termine dei lavori in prefettura l’incontro con le associazioni ambientaliste, circa 15 sigle, molte delle quali in mattinata hanno deciso di rifiutare il facci a afaccia.

All’indomani delle dimissioni rassegnate dai commissari straordinari dell’Ilva, Di Maio ha infine illustrato le altre “linee di intervento” previste per la città, riassunte in quattro punti: salute e bonifiche, sanità e sociale, riqualificazione del territorio urbano e rurale e innovazione. Buoni propositi che, per molti, hanno il sapore di un “contentino”.

E nella conferenza stampa che ha seguito il tavolo in Prefettura a Taranto, il vicepremier Di Maio ha puntualizzato la sua posizione sulla promessa di chiusura del siderurgico. “Io non volevo chiudere per licenziare”, è ciò che ha detto come ultima cosa prima di lasciare la città ionica.

“Allo stesso tavolo con i comitati – ha detto Di Maio – nessuno ha ammesso di aver chiesto la chiusura della fabbrica subito per licenziare 20mila persone. Si parlava di chiusura, programmazione, riconversione e reimpiego. C’è stata poi una variabile impazzita: il contratto firmato dal precedente governo e che vincolava questo stabilimento già a un privato. Qualunque cosa avessi fatto, il privato avrebbe vinto il ricorso al Tar e avrebbe tenuto per strada 2-3mila dipendenti. Quando mi si dice ‘devi chiudere’ bisogna aggiungere la seconda parte, cioè licenziare 20mila persone”.

A suo avviso, invece, la strada è un’altra: “Riconvertire il territorio, creare un’alternativa lavorativa, avviare nuovi processi tecnologici che portano allo sviluppo di nuovi sistemi che non inquinano per lo sviluppo industriale. Questo – ha aggiunto – significa riconversione, che è un processo lungo che probabilmente sopravviverà al mio mandato da ministro”.

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