PORTO CESAREO- La loro auto usata a mo’ di ariete: a più riprese contro il cartello pubblicitario del vicino, alle 20 del 12 luglio, davanti a tanti clienti. Pochi giorni prima, avevano fatto lo stesso contro le palizze in legno, come hanno documentato le telecamere di videosorveglianza del Togo Bay, a cui hanno reso la vita impossibile. Danneggiamenti di continuo. Ma anche minacce, violenze, atti intimidatori. Perché quella spiaggia la volevano tutta per sé. Da pastori avevano capito che quel pezzo di litorale, a Porto Cesareo, è una miniera. E l’hanno pretesa ad ogni costo, stando a quanto hanno ricostruito i carabinieri della compagnia di Campi in anni di indagini certosine (Qui l’intervista al comandante provinciale Giampaolo Zanchi).
Dietro le sbarre ci finisce un’intera famiglia, che per dieci anni ha gestito il “Lido Azzurro”: il gip Simona Panzera ha accolto le richieste di custodia cautelare in carcere avanzate dal pm Luigi Mastroniani nei confronti del padre Cosimo Emiliano, di 74 anni, originario di Torre Santa Susanna, e dei suoi tre figli: Mario, di 40 anni; Luigi, di 49; Alfredo, di 50, tutti residenti a Porto Cesareo. Rispondono, a vario titolo, di “estorsione aggravata e continuata”, “minacce”, “danneggiamento aggravato” mediante incendi, “invasione di terreni” e “occupazione abusiva di area demaniale marittima”. Tra gli altri episodi, a loro è contestato l’incendio doloso che nella notte del 7 giugno 2010 distrusse il lido Togo Bay.
Una “spregiudicata natura violenta” quella che “connota i quattro indagati”, ha scritto il gip, che comunque ha escluso l’aggravante del metodo mafioso contestata dal pm. Gli Emiliano facevano da soli, insomma: hanno iniziato nel 2008, con l‘occupazione di terreni ex Ersap di proprietà della Regione Puglia, in località Palude Fede, pieno parco Palude del Conte. Lì hanno impiantato un camping abusivo, con centinaia di parcheggi, bagni con scarichi diretti nei canali, impianti elettrici improbabili, pavimentazione e strutture di cemento e di legno a ridosso delle dune.
Cinque euro per ogni mezzo che vi entrava, direttamente riscossi all’ingresso, come documentato dai carabinieri, che fingendosi bagnanti hanno chiesto di poter parcheggiare lì e hanno ricevuto una risposta emblematica: “il terreno è nostro, è di proprietà, se volete entrare si paga”. Non si sono fermati davanti a nulla, gli Emiliano: il 14 agosto 2014, l’area è stata posta sotto sequestro e sgomberata. Ma loro sono ritornati, sono andati avanti con il loro parcheggio abusivo. Fino agli arresti eseguiti nella notte.