Cronaca

Nuovo agguato a Casarano, il filo rosso con omicidio Potenza “lo Stato ci aiuti”, il Prefetto: “Ancora più controlli”

CASARANO-  Perquisizioni e controlli a tappeto, non solo a Casarano ma anche in altri centri del Sud Salento. Il primo passo per gli investigatori sarà capire se il kalashnikov che ha esploso i colpi contro il 41enne Luigi Spennato, ferendolo gravemente, sia lo stesso che ha ucciso il 26 ottobre scorso Augustino Potenza. Di sicuro erano almeno in due a sparare, visto che sono stati ritrovati anche i bossoli di una pistola. I rilievi balistici sono complessi e per avere responsi più accurati sono stati anche inviati a Roma.
Casarano è ripiombata nell’incubo della guerra di mala, ad un mese dall’omicidio che ha “interrotto la pax mafiosa”, come ha chiarito sin da subito il procuratore Cataldo Motta. Sembra darne piena conferma l’agguato di lunedì sera in contrada Madonna della Campana, in piena campagna.

La città chiede aiuto allo Stato e in mattinata il sindaco Gianni Stefano ha incontrato il prefetto Claudio Palomba, che nelle prossime ore convocherà il comitato per l’ordine e la sicurezza. Sin da subito, quindi, dovrebbe essere garantita una maggiore presenza di forze dell’ordine a presidio del territorio.

Le indagini, intanto, scavano nel passato. L’imboscata a Spennato potrebbe suggerire la pista della vendetta, del rinvigorire di vecchi rancori. È un’ipotesi che gli inquirenti non possono tralasciare, perché c’è un filo rosso a legare i nomi di Potenza e di Spennato: sono gli unici due ad essere stati prima accusati e poi assolti per la strage della famiglia Toma. Potenza fu condannato all’ergastolo perché indicato

Luigi Spennato
Luigi Spennato

nel gruppo di fuoco che ammazzò i coniugi Fernando D’Aquino e Barbara Toma, nel 1998. Spennato, invece, fu condannato a vent’anni per aver informato gli uomini del clan Di Emidio dei movimenti di Cosimo e Fabrizio Toma, padre e figlio, i familiari di Barbara, anche loro uccisi nel 2000. Tuttavia, sia Potenza che Spennato sono stati assolti nel 2014 dalla Corte d’Assise d’Appello di Taranto. Un passato che ritorna, così prepotente, dopo quasi vent’anni, scatenando l’inferno in un mese?

La tempistica è un rompicapo. Perché quel passato remoto potrebbe anche depistare rispetto, invece, a moventi del presente. Potenza e Spennato, a quanto pare, erano ancora legati tra loro da un rapporto di amicizia, nella nuova vita da imprenditore il primo e dipendente di una società di raccolta rifiuti il secondo, con una condanna, quest’ultimo, per una rapina messa a segno a Botrugno. Che Spennato si aspettasse probabilmente di essere anche lui finito nel mirino di qualcuno, nelle ultime settimane, non appare ipotesi remota: quando in serata, vicino la sua casa alla periferia della città, in piena campagna, ha udito dei rumori, ha cercato di riparasi dietro il sedile della sua auto. Forse per questo è scampato alla morte. Ha riportato, però, ferite gravissime, alla testa e al torace. Ora è al Vito Fazzi di Lecce, in condizioni stabili, ma quasi certamente perderà la vista e rischia di restare paralizzato.

Si guarda all’asse Casarano-Monteroni per capire se la chiave di volta sia in un possibile scontro tra compagini criminali, con il clan Tornese. A dare forza a questa pista ci sono altri due episodi: gli spari, tra il 5 e 6 settembre, contro l’abitazione di Luciano Polimeno, trasferitosi a Casarano ma anche lui di Monteroni. E poi il ferimento, a fine ottobre, di un altro monteronese, Roberto Giancane, arrestato nel 2008 con l’accusa di aver fatto parte del gruppo che spacciava droga per finanziare la latitanza di Potenza.

Articoli correlati

Furto nella cattedrale di Nardò. Caccia al ladro che ha portato via oggetti sacri

Redazione

Trovato senza vita in una pozza di sangue: tragedia a Leverano

Redazione

Sbarco di migranti a Leuca, fermata la fuga di due presunti scafisti curdi

Redazione

Il Sindaco di Mesagne incontra le ragazze del ‘Morvillo’

Redazione

Gallipoli, automobilista schiacciato da albero caduto. Danni ovunque nel Salento

Redazione

Sì a Tap anche dal Tar Lazio, “non è uno stabilimento” e Vendola paghi le spese

Redazione