NARDO’- Prima la pioggia, ora il caldo che si fa via via bollente. A Nardò, anche questo inizio di stagione è la ripetizione di se stesso.La prima baracca è quella di ragazzi senegalesi. Ce lo dice Muda, che è scappato da questo purgatorio e ora parla per tutti, tutti quelli che qui hanno paura di rivolgerci la parola, perché parlare con noi significa rischiare di non lavorare più.
Sono arrivati in anticipo quest’anno i braccianti che coltiveranno e raccoglieranno le angurie e i pomodori di Nardò, reclutati come sempre dai caporali, in base a quel copione che resiste anche alle inchieste della Procura. In contrada Arene-Serrazze, ora di proprietà comunale, ci entriamo accompagnati dai volontari di Diritti a Sud e delle Brigate di Solidarietà attiva, le uniche realtà, assieme alla Caritas, a spingersi fin qui per dare una mano. Sono passate due settimane dalla demolizione della ex falegnameria, che, sì, andava abbattuta perché pericolante, ma la verità è che l’alternativa tarda ancora ad arrivare. E nel frattempo, si vive così.
Questo è il “quartiere” dei tunisini, che lavorano dalle 17 alle 5 del mattino per tirar via le plastiche delle angurie. Questo, invece, è il “quartiere” dei subsahariani, che lavorano di giorno a piantar pomodori. Molti non lavorano affatto, ma l’estate la passeranno comunque qui, perché dopo Pachino, Rosarno, Rignano, non sanno dove altro andare.
Non c’è un bagno chimico, non un cassonetto per la spazzatura, non una doccia. Si mangia e si dorme nel fango, sotto le plastiche. Lo scorso anno, il campo tende è stato allestito qui, a due passi, ma al momento non c’è traccia di lavori in corso, che pure si è promesso di anticipare. Più in là, Masseria Boncuri resta chiusa, destinata a diventare altro, centro per richiedenti asilo politico. L’unica certezza è che altre centinaia di braccianti sono in arrivo e che ad oggi questo ghetto dimenticato da Dio è invisibile anche alle istituzioni.