Cronaca

Punture di siringhe: molti casi “ma no allarmismo”

LECCE- Il fenomeno era diffuso negli anni ’80 più che mai e terrorizzava tutti: le punture di siringhe abbandonate per strada, e soprattutto in spiaggia, spesso si associavano a sicura contrazione del virus HIV. Si tratta delle siringhe utilizzate dai tossicodipendenti per iniettarsi la droga in vena. Oggi succede ancora, ma molto più raramente, e chi resta vittima di questo incidente si rivolge immediatamente al pronto soccorso e viene poi mandato nel reparto “Malattie infettive”. “Lunedì mattina un 17enne si è presentato con la mamma al Pronto soccorso del “Vito Fazzi”. Ha riferito di essersi punto il giorno prima su un arenile di Porto Cesareo -scrive salutesalento.it- Lo stesso ragazzo ha spiegato che la plastica della siringa era ingiallita e «cotta» dal sole. (sembrava chiaro, cioè, che la siringa non fosse stata usata da poco). Gli operatori del Pronto soccorso hanno tranquillizzato i familiari del giovane spiegando loro che la possibilità di infezione, se si dovesse trattare di virus Hiv, permane per poco tempo”.

Nonostante tutto sono scattate le procedure previste per i numerosissimi casi che si verificano soprattutto in estate. La settimana scorsa una bambina di 6 anni si è punta con la «lancia» corta utilizzata per la misura della glicemia. Stessa procedura. Il soggetto viene inviato al reparto di Malattie infettive.

Qui i medici spiegano che sono casi molto frequenti e che spesso non si tratta delle tipiche siringhe da insulina, ma di quelle usate per fare iniezioni di farmaci intramuscolo, che poi vengono gettate e smaltite in modo scorretto. In ogni caso, quando non si conosce l’origine della siringa, il paziente viene sottoposto a prelievo per individuare eventuale epatite B o C ed Hiv con cadenza di 1, 3 e 6 mesi a cominciare dal mese successivo alla puntura.

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