TARANTO- Stavolta, non c’è solo la questione ambientale. Si indaga sulle cause della morte per tumore alla tiroide di un operaio dell’Ilva di Taranto. E lo si fa andando a scavare direttamente nel luogo in cui ha lavorato per una vita e che risulta, stando ai primi accertamenti, pieno zeppo di rifiuti sepolti. Ad azionare le ruspe, in mattinata, il Noe di Lecce, al comando del maggiore Nicola Candido: sotto il pavimento delle officine carpenteria e manutenzione elettrica dello stabilimento, avevano già iniziato ad emergere strane macchie oleose. La sorpresa? È qualcosa che non ci si aspettava affatto e che inquieta: sotto quei capannoni, esistono diversi e ampi locali, completamente interrati e all’interno dei quali c’erano prima degli impianti. Soltanto una parte di questi è attualmente pedonabile, perché sono stati via via riempiti con materiali e rifiuti di natura ancora oscura. Quando ancora non si sa. Ma l’origine di quelle chiazze di catrame denunciate dal sindacato Usb inizia ad essere più chiara.
Già agli inizi di dicembre, un decreto di ispezione era stato disposto dal procuratore aggiunto Pietro Argentino nell’area di pertinenza dell’acciaieria 1, già sottoposta a sequestro con facoltà d’uso e quella più problematica per i fenomeni di slopping. Adesso, oltre alla malagestione di scarti e scorie interrate, si punta a capire se sono state rispettate tutte le cautele in materia di sicurezza sul lavoro e se quella morte per cancro non è stata in fondo un omicidio colposo.
Non c’è, tuttavia, solo quel decesso a destare preoccupazione. Anche altri lavoratori degli stessi reparti hanno accusato l’insorgenza di malattie verosimilmente professionali.
Ecco perché i militari del Nucleo operativo ecologico di Lecce hanno deciso di andare a fondo con operazioni di carotaggio e scavo eseguite nelle scorse ore alla presenza dei tecnici dello Spesal jonico e del Dipartimento di Taranto dell’Arpa Puglia.