Cronaca

Bracciante morto reclutato dai caporali? Ascoltata la moglie

PORTO CESAREO- Com’è arrivato Mohamed nel Salento? Tramite quale aggancio? Si è trattato di una semplice mediazione di lavoro o di un vero e proprio reclutamento da parte di caporali? È a queste domande che i carabinieri stanno cercando ora di dare risposta dopo la morte del bracciante, stroncato da un infarto a 47 anni mentre raccoglieva pomodori, a Nardò. In mattinata, nella stazione dei carabinieri di Porto Cesareo è stata ascoltata la moglie, originaria delle Mauritius, arrivata da Caltanissetta a Lecce assieme a due figli: un ragazzo di 16 anni e una bimba di 3. La donna, accompagnata dai volontari dell’associazione Diritti a Sud, ha incontrato prima il sindaco di Nardò, Marcello Risi, che ha voluto porgerle le condoglianze della comunità. Sarà il Comune a farsi carico della loro accoglienza in un b&b del posto.

Si attendono gli esiti dell’autopsia, fissata per venerdì. Ma le indagini, intanto, vanno avanti. “Omicidio colposo”, per la pm Paola Guglielmi, che ha iscritto il nome di tre persone sul registro degli indagati. L’impianto accusatorio, però, potrebbe arricchirsi.La presenza certa di almeno tre migranti impiegati in quei campi senza alcun regolare contratto, infatti, già complica la posizione dell’azienda agricola Mariano. Inoltre, dai controlli sta emergendo anche altro: i lavoratori non sarebbero mai stati sottoposti a visita medica preventiva e questa sarebbe una palese violazione delle norme sulla sicurezza. Ma gli investigatori ora stanno provando anche a raggomitolare la matassa e capire per quale strada Mohamed è arrivato nel Salento e se ci sia nuovamente l’ombra di una tratta intessuta dai caporali, in base a quel reticolo che l’operazione Sabr aveva già portato alla luce, nel maggio 2012. Il sudanese aveva regolare permesso di soggiorno valido fino al 2019 e si attende ora riscontro dal Ministero dell’Interno per capire quale posizione avesse, se rifugiato politico oppure no.

È una vicenda, in ogni caso, che fa emergere prepotentemente anche un altro tema: quello dei mancati controlli. Che lo schiavismo nei campi neretini persistesse era noto. “E’ un territorio che sfugge – dice Antonella Cazzato, Cgil -. Mettiamo in conto che ci siano molti problemi di organici ma è vero che su queste questioni c’è necessità di misure specifiche con una task force che vigili sull’impiego di stagionali e con l’attivazione di presidi anche sanitari, che non possono esser lasciati solo al volontariato, ma devono essere pubblici”.

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