TARANTO – Chiuso con 2 condanne, il processo in abbreviato per un imprenditore, titolare di un’azienda dell’appalto Eni ed il capocantiere, imputati di omicidio colposo per la morte bianca alla raffineria di Taranto.
Un anno di reclusione ciascuno per la tragedia sul lavoro che risale al 5 novembre del 2010, quando a perdere la vita fu un operaio stattese, Vincenzo D’Andria, 42 anni, impiegato in una ditta dell’appalto.
Il 42enne fece un volo da un’altezza di 20 metri.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, mentre effettuava dei lavori di manutenzione del tetto, insieme a tre colleghi D’Andria, precipitò in una cisterna di carburante vuota, riportando lesioni che gli sono costate la vita.
I dispositivi di protezione – pur forniti dall’azienda siciliana dell’indotto per la quale D’Andria lavorava – non sarebbero stati utilizzati in maniera corretta.
L’operaio indossava l’imbracatura, ma il cavo di acciaio a cui era agganciata la cintura di sicurezza si sarebbe trovato in una posizione ‘sbagliata’: anche se agganciato ad una balaustra del serbatoio, non era in tensione ma appoggiato per terra, quindi, in contrasto con quanto stabilito dalle norme in materia di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro.
Per questo, quando l’operaio ha perso l’equilibrio, il cavo non ha retto e D’Andria è precipitato al suolo. Per lui non ci fu niente da fare, nonostante l’allarme lanciato immediatamente dai colleghi.
I familiari della vittima, parte civile nel processo, hanno presentato richiesta di risarcimento, pari ad un milione di euro.