È un vero e proprio arsenale di droga quello che è stato sequestrato dai carabinieri nell’ambito dell’operazione “Pit Bull”.
In totale sono finiti sotto sequestro più di 40 chili di stupefacente: 22 di cocaina, 10 di marijuana, 3 e mezzo di eroina e 9 chili di hashish.
Una quantità notevole, la gran parte della quale era stipata in casa di un parente del boss, e che conferma l’organizzazione collaudata del clan.
La droga infatti – stando a quanto ricostruito – veniva prelevata più volte al giorno da nascondigli sicuri, nascosta in buste della spesa o in scatoloni di vino e detersivi per passare inosservata, prima di essere confezionata con cura, con il cellophane bruciato per eliminare odori e residui.
Al centro di questo sistema c’era lo stesso Vito Paolo Vacca, che gestiva approvvigionamenti e spaccio sia direttamente sia attraverso i suoi sodali. Le intercettazioni parlano chiaro: il capo del clan non esitava a minacciare chi si approvvigionava altrove, arrivando a dire testualmente: “Se mi fai sapere che prendi un grammo altrove ti mando all’ospedale… mo vado e lo faccio cantare. Subito faccio! Subito”.
Il giro d’affari era ingente. In una conversazione Vacca parla di un’operazione di acquisto di circa 774.000 euro, che sul mercato avrebbe potuto fruttare oltre due milioni di euro.
Il gip nell’ordinanza di custodia cautelare, oltre agli arresti ha disposto anche il sequestro preventivo di beni per un valore di circa 91mila euro nei confronti di Vacca e di altri indagati.
Il controllo sul territorio era garantito con metodi violenti, come nel caso di un giovane di 22 anni di Taviano, attirato in una trappola con la scusa di un chiarimento. All’interno di un’abitazione venne picchiato brutalmente e costretto a consegnare 700 euro, il prezzo di un debito per l’acquisto di droga.
Quello che sembrava un episodio isolato si rivela così la punta dell’iceberg di una rete criminale ramificata, capace di muovere ingenti quantità di droga e di esercitare un controllo capillare sul territorio, in perfetto stile Scu.
