LECCE – Perché l’i-phon di Julie non fu scandagliato con le tecniche di ultima generazione? Perché non è stata approfondita la provenienza del laccio che le ha cagionato la morte? E poi ancora: perché non sono state passate sotto la lente le stanze adiacenti a quella della studentessa e non sono stati approfonditi i movimenti dei suoi coinquilini?
È quanto, in sostanza, chiede la famiglia di Julie Tronet opponendosi alla richiesta di archiviazione del caso come suicidio. La 21enne, studentessa francese in Erasmus a Lecce, fu trovata impiccata in camera sua a Lecce il 22 ottobre di due anni fa.
Dopo due anni di indagini, la Procura ha chiesto l’archiviazione del procedimento a carico dell’unico indagato, un coetaneo originario di Ceglie Messapica che la sera del 18 ottobre (cinque giorni prima della tragedia) aveva trascorso la serata con lei e che, alla luce di quanto accaduto, è stato accusato inizialmente di istigazione al suicidio e violenza sessuale.
Il giorno dopo l’incontro con l’indagato, la 21enne si era recata in ospedale, al “Fazzi”, sostenendo di essere stata violentata ma rifiutando poi di sporgere denuncia.
La pm Rosaria Petrolo ha motivato la richiesta di archiviazione con la formula secondo cui “non sussistono elementi tali da configurare alcun tipo di reato”. Per la famiglia, però, ci sarebbero troppe le lacune nelle indagini condotte. Talmente tante da non trovare pace e soprattutto verità per la povera figlia.
E così i genitori di Julie si oppongono adesso alla chiusura del capitolo giudiziario, assistiti dagli avvocati Rosario Almiento e Giulio Bray. La gip Tea Verderosa ha fissato l’udienza camerale per il 20 febbraio del prossimo anno. In camera di Consiglio i legali potranno discutere le richieste di ulteriori accertamenti avanzate, per fare piena luce su quel maledetto giorno.
