CronacaLecce

Casarano, pronto soccorso al collasso: la disperazione dei pazienti

Una tragedia, quella della morte di Danilo Pellegrino, avvenuta nel pronto soccorso dell’ospedale Ferrari di Casarano e che ha portato centinaia di cittadini a raccontare le proprie esperienze sotto al servizio pubblicato sui nostri canali social. Testimonianze che delineano un quadro drammatico della sanità pubblica: ore infinite di attesa, pazienti “parcheggiati” nei corridoi, carenza di medici e infermieri costretti a turni massacranti. Dietro la rabbia e lo sconforto c’è però anche il riconoscimento di un impegno sovrumano da parte del personale sanitario, che nonostante i tagli e le carenze strutturali continua a reggere un sistema ormai al collasso.
Angela racconta di aver atteso sei ore con una frattura, assistendo all’arrivo di sei codici rossi e di un solo medico che non riusciva neppure a concedersi pochi minuti di pausa. “Non prendiamocela con i medici – scrive – perché fanno quello che possono. La vergogna è di chi taglia dove invece bisognerebbe potenziare”.
Un concetto ribadito da Milena, che parla di appena tre operatori in servizio di fronte a decine di pazienti.
Molte testimonianze sottolineano la crudeltà delle attese: Valentina, con dolori al petto, ha aspettato sei ore prima di un elettrocardiogramma, passando perfino tre quarti d’ora sotto la pioggia davanti all’ingresso. “Ho chiesto almeno un prelievo – racconta – ma mi hanno zittita dicendo che non sono io il dottore”.
Gianni parla di persone costrette a restare in sala d’attesa per quasi ventiquattro ore: “Il sistema sanitario fa acqua da tutte le parti”.
C’è chi denuncia errori diagnostici e comunicazione approssimativa. Giovanna, ad esempio, ha accompagnato la figlia dalle 10 del mattino fino a notte fonda tra radiografie, TAC e referti discordanti, per poi scoprire che non si trattava di una frattura scomposta, come inizialmente diagnosticato, ma solo di una contusione.
Tiziana racconta invece di aver dovuto spingere il padre anziano tra i corridoi al buio per una consulenza urologica, ricevendo alla fine solo un “pezzo di carta” senza timbro né firma come referto. “Avrei dovuto chiamare i carabinieri”, ammette.
Particolarmente grave la vicenda narrata da Luca, trapiantato di rene e immunodepresso: rimasto in attesa per oltre sette ore nello stesso ambiente in cui era presente un caso di sospetta meningite, ha deciso di togliersi l’ago da solo e andare via per paura di contagi. Solo dopo è stato richiamato dal neurologo che non lo trovava più in sala.
Ma non manca la riconoscenza verso medici e infermieri: correndo da un’emergenza all’altra, spesso da soli, cercano di sopperire a mancanze strutturali che non dipendono da loro. “Ho visto negli occhi del medico la tenerezza di chi non poteva neanche andare in bagno – scrive Angela – eppure non smetteva di assistere i pazienti”.
Continuano, invece, i disservizi al Polo oncologico di Lecce, dove a Dillo a Telerama un utente ci ha raccontato come da alcuni giorni non funziona la macchina della radio.

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