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L’ex Ilva non sarà spenta. Per il Consiglio di Stato non c’è imminente pericolo per la salute

TARANTO- L’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto non verrà spenta. L’attività del siderurgico proseguirà: per il Consiglio di Stato non c’è un imminente pericolo per la salute. E’ il verdetto, attesissimo, che ha ribaltato la sentenza del Tar di Lecce e accolto il ricorso di Arcelor Mittal e Ilva in amministrazione straordinaria. La decisione, pubblicata in mattinata, ha annullato l’ordinanza con cui il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, il 27 febbraio 2020, aveva imposto di individuare entro 60 giorni gli impianti interessati da emissioni inquinanti e rimuoverne le eventuali criticità e, qualora ciò non fosse avvenuto, di procedere nei 60 giorni successivi alla “sospensione/fermata” delle attività dello stabilimento. Quella ordinanza era stata emessa a seguito di episodi di emissioni di fumi e gas verificatisi nell’agosto 2019 e nel febbraio 2020 e delle successive verifiche ambientali e sanitarie.

I magistrati leccesi avevano dato ragione al primo cittadino. Il Consiglio di Stato, invece, ha annullato quel provvedimento dichiarandolo illegittimo, in quanto il potere di ordinanza d’urgenza è stato esercitato in assenza dei presupposti di legge. I giudici del Consiglio di Stato, in realtà, non hanno condiviso la tesi principale delle società appellanti, secondo cui deve escludersi ogni spazio di intervento del Sindaco in quanto i rimedi predisposti dall’ordinamento, nell’ambito dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), sarebbero già idonei a far fronte a qualunque possibile inconveniente. Tuttavia, hanno ritenuto che quel complesso di rimedi (compresi i poteri d’urgenza già attribuiti al Comune dal T.U. sanitario del 1934, i rimedi connessi all’AIA che prevedono l’intervento del Ministero della transizione ecologica e le norme speciali adottate per l’Ilva dal 2012 in poi) sia tale da limitare il potere di ordinanza del Sindaco, già per sua natura «residuale», alle sole situazioni eccezionali in cui sia comprovata l’inadeguatezza di quei rimedi a fronteggiare particolari e imminenti situazioni di pericolo per la salute pubblica.

Non sarebbe questo il caso, secondo i giudici romani, per i quali non sono emersi “fatti, tali da evidenziare e provare adeguatamente che il pericolo di reiterazione degli eventi emissivi fosse talmente imminente da giustificare l’ordinanza contingibile e urgente, oppure che il pericolo paventato comportasse un aggravamento della situazione sanitaria nella città di Taranto, tale da indurre ad anticipare la tempistica prefissata per la realizzazione delle migliorie” dell’impianto.

Non si nega la grave situazione della città, ma si ritiene che lo strumento adottato, cioè l’ordinanza sindacale, non sia quello giusto, in quanto si sarebbe sovrapposto «alle modalità con le quali, ordinariamente, si gestiscono e si fronteggiano le situazioni di inquinamento ambientale e di rischio sanitario, per quegli stabilimenti produttivi abilitati dall’Aia», non essendosi evidenziato un pericolo «ulteriore» rispetto a quello ordinariamente collegato allo svolgimento dell’attività industriale.

 

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