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La storia di Umberto, nel 2004 quarantena per leucemia: “Non abbiate fretta di ripartire”

LECCE- La lotta alla leucemia, la fretta di tornare alla normalità, la ricaduta e poi il monito: “Oggi, più che mai, non abbiate fretta di ripartire. Con il cambiamento bisogna imparare a convivere”. Racconta la sua esperienza in terza persona Umberto Cataldo, oggi 36enne leccese: quella leucemia che gli è stata diagnosticata nel 2004, quando era in Erasmus in Polonia appena 20enne, lo ha segnato e come. È stata quello, in un anno per giunta bisestile come questo, il suo primo faccia a faccia con l’esperienza forzata della quarantena.

“Le cure erano pesanti e i rischi altissimi, i tempi dilatati e i pomeriggi da solo in stanza infiniti – racconta Umberto- Internet non c’era, i messaggi e le chiamate a pagamento, la tv noiosa e i libri pesanti. Solo la rosa gazzetta dello sport alleviava per qualche minuto i pensieri che il cervello macinava giorno e notte. Oltre, chiaramente, alle poche ore in cui le sue donne di casa, una alla volta, potevano entrare a fargli compagnia, per poi attendere il resto del tempo sedute in quella minuscola sala d’attesa fuori il reparto di ematologia. E i giorni passavano così, interminabili, fra noia e preoccupazione, senza davvero sapere se aver voglia di una novità, perché la novità, nella maggior parte dei casi, era negativa”.

Poi, nel tempo, cose iniziarono a migliorare: il fisico rispondeva alla chemio, una delle sorelle risultò compatibile alla donazione di midollo al 100%. Pian piano Umberto risucito a venirne fuori.

“Purtroppo, però, come spesso accade, pensando che le raccomandazioni dei dottori fossero frasi messe lì a caso, “la fase più delicata é la convalescenza” o “nu n’ha tenire pressa figghiu miu, ane passu passu”, il ragazzo iniziò a comportarsi di testa sua per recuperare il tempo che credeva perduto – racconta ancora lui – la terapia a casa scalata con troppa fretta, le birre, le notti fuori fino all’alba. E fu così che, non si sa bene se per questo motivo o per un rigetto dell’organismo, la malattia tornò a fare capolino”.

Ed eccolo il momento più duro, questa volta superato lentamente. E come ogni favola, fortunatamente a lieto fine, la morale è presto detta: “Bene. Ora proviamo a sostituire i protagonisti della storia –propone Umberto- il ragazzo con l’uomo comune, la leucemia con la pandemia covid-19, gli ematologi con altri medici ed esperti, infermieri oss portantini cuochi con tutti quei lavoratori che permettono di far andare avanti le filiere produttive, famiglia e amici con la comunità, la camera sterile dell’ospedale con le nostre case, l’attesa… con l’attesa. Cosa succederà se non ci affidiamo a chi ha gli strumenti per interpretare un fenomeno nuovo, non senza tentativi, errori, nuovi tentativi che ci dovranno essere per forza di cose…? Cosa succederà se avremo fretta di ripartire come se nulla fosse accaduto, senza considerare che la ricaduta è più difficilmente superabile di una malattia…? Cosa succederà se non impareremo nulla da questa immensa occasione che abbiamo di fermarci a riflettere, di comprendere i segnali che il Pianeta ci sta mandando sempre più frequentemente per dirci che, probabilmente, il suo virus è proprio l’uomo…?”.

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