LECCE – La mafia locale cambia pelle. La Dia parla di salto di qualità nell’impiego di giovani leve: l’iniziazione coinvolge sempre di più minorenni. Ad istruire i giovani d’onore ci pensano le donne che sgomitano per ruoli di primo piano.
Non c’è soltanto l’analisi dei rapporti tra i clan egemoni e dei settori nei quali la mafia locale tende sempre di più a “specializzarsi”. Nell’ultima relazione stilata dalla Direzione Investigativa Antimafia c’è molto di più. C’è il racconto di una mafia che cambia pelle, si svecchia e in qualche modo cede il passo alle donne, specializzande nell’inculcare una sorta di “pedagia nera”, così come gli stessi inquirenti l’hanno ribattezzata.
“La disponibilità di armi – si legge in un primo passaggio dedicato alla mafia pugliese – si affianca a sentimenti di mal sopportazione della legalità e forme allarmanti di degrado sociale. Tema che in qualche modo richiama quanto avvenuto a Manduria(comune tra l’altro sciolto per infiltrazione mafiosa) dove, il 23 aprile 2019, un anziano è deceduto a causa delle violenze subite da parte di un branco di giovanissimi, facendo tornare in auge la questione delle cd. baby-gang pugliesi, paragonata dalla stampa “al percorso dei ragazzini della paranza a Napoli”. La direzione Antimafia parte dunque dal caso Stano per fornire una chiave di lettura del tutto nuova a quell’episodio tragico e snocciolare un primo focus: quello incentrato sul fenomeno della criminalità giovanile.
L’allarme consiste nella tendenza, crescente, ad arruolare minori nei clan. Quello che gli inquirenti definiscono “un salto di qualità nelle modalità d’impiego di giovani leve“. La cosidetta “iniziazione” in età minorile è confermata da “recenti indagini che evidenziano il ruolo di rilievo ricoperto da elementi molti giovani o appena maggiorenni, spesso ritenuti responsabili di gravi delitti, come rapine, estorsioni e porto illegale di armi”.
Ma perché questi giovani finiscono per avvicinarsi e militare nella malavita? Il più delle volte per onorare legami familiari, spesso per sostituire nella gerarchia criminale i congiunti detenuti.
Una volta arruolati, però, bisogna addestrarli. Ed è in questo che le donne sono riuscite a ritagliarsi un ruolo di primo piano. A loro il compito ormai quasi esclusivo di inculcare il cosidetto “codice d’onore”, ribattezzato “pedagia nera“. Tradotto: un imprinting mafioso basato su “valori” di prevaricazione, potere, omertà, vendetta.
Non solo questo. Mogli e parenti dei boss rivestono ormai ruoli importanti all’interno degli assetti criminali: “reggenti, cassiere ed emissarie dei rispettivi clan, abili anche nel garantire continuità alle attività illecite gestite dai capi detenuti, ottemperando -si legge ancora nella relazione- alle disposizioni recepite con pizzini, lettere o durante i colloqui in carcere“.
A conferma di tutto questo, gli inquirenti citano l’operazione “Battleship” del 27 marzo 2019 dalla quale “è emerso come le donne del clan CARACCIOLO-MONTENEGRO di Leverano siano state elevate a ruoli di direzione“. Non solo “sovrintendono allo svolgimento di tutte le attività delittuose” ma “regolano anche la vita e l’operatività dell’organizzazione e si rendono direttamente protagoniste di episodi intimidatori,funzionali ad accrescere il prestigio dell’organizzazione mafiosa nell’area di influenza“.
E.Fio