TARANTO – Nessun incontro tra il colosso franco-indiano e il presidente del Consiglio: sul destino dell’ex Ilva di Taranto è stallo.
Il Governo, non avendo ricevuto alcun segnale da Arcelor, adesso sembra concentrarsi in tutto e per tutto sul piano B. E questo nonostante il graduale ampliamento dei margini di trattativa originariamente imposti da Mittal: 5mila esuberi, scudo penale e blocco del piano di spegnimento dell’altoforno 2 in primis.
La mano tesa da Palazzo Chigi sembra, però, cadere nel vuoto. E mentre nelle scorse ore l’azienda ha ufficialmente bloccato il rifornimento di materie prime, una cabina di regia romana immagina già come poter fare a meno della multinazionale.
Le ipotesi sono diverse. Il ritorno della gestione dell’ex Iva ai commissari, un prestito ponte da 700-800 milioni e una nuova gara d’appalto con capofila la Cassa depositi e prestiti.
Resta percorribile poi la strada di una causa tra Stato e Arcelor. La cabina di regia istituita dal Premier con i ministri competenti ha già schierato la proposta di un piano pluriennale per il sostegno dei lavoratori. Un paracadute dai 5 ai 10 milioni di euro l’anno per Taranto, operativo per un triennio ma estendibile fino a 5 anni.
Secondo quanto dichiarato da Mittal a “La Gazzeta del Mezzogiorno”, infine, quest’ultima avrebbe anche proposto di gestire la sola area a freddo, impiegando 5 mila dipendenti rispetto ai 10.700 attuali. L’area a caldo tornerebbe così nelle mani dei commissari.
Il silenzio di queste ore, dunque, lungi dal rappresentare una fase di stallo, potrebbe essere emblematico di una trattativa chem al contrariom va avanti. E lo fa senza troppo clamore.
Intanto per i tarantini i destino del colosso siderurgico è ufficialmente un rebus.