BARI – Il 4% dei pazienti pugliesi ha un sospetto o una diagnosi acclarata di tumore. Sono 20mila le persone che in Puglia, ogni anno si ammalano di cancro. l 45% sono donne.
Sono i dati contenuti nella Rete Oncologica pugliese che Regione e Aress hanno messo a punto e che ora, però, deve concretizzarsi nelle corsie dei nostri ospedali.
Una fotografia dettagliata che mette in luce le criticità del Salento. Il tumore al polmone è il primo, per incidenza: il 18% dei casi riceve questa diagnosi. A Lecce l’incidenza più alta di tutte. Per le donne è ancora il tumore al seno il più frequente.
I dati sulla mortalità, elaborati dall’Istat e citati nel documento della Regione, dicono che su 35mila persone morte in Puglia, 9800 sono morte di tumore. La mortalità, in generale, è in lieve calo, ovunque ma non a Taranto. Come purtroppo le cronache ci raccontano ogni giorno.
Ma Lecce mostra anche altro: ha l’incidenza più alte della media nazionale anche per tumore all’ovaio e per tumore all’encefalo. E Il tumore alla vesciva negli uomini e nelle donne ha tassi di sopravvivenza più bassi rispetto al dato nazionale, 76% contro il 79% generale.
Per le leucemie i dati provinciali mostrano un’incidenza più elevata a Brindisi (in particolare nel capoluogo) mentre la mortalità è più alta è a Taranto. Stabile a Lecce.
Il mesotelioma pleurico, drammaticamente legato ai fumi del siderurgico, mostra i tassi più elevati di incidenza e mortalità a Taranto, l’incidenza – si legge – appare in aumento. Il dato di sopravvivenza, che a livello regionale è in linea con quello nazionale, è critico a Taranto e Lecce sia tra gli uomini (10% regione vs rispettivamente 5% e 8%) che tra le donne, dove l’incidenza è in riduzione.
Questi dati sono legati, inevitabilmente, a quelli delle strutture ospedaliere. Nel corso del 2015 – ad allora risalgono gli ultimi dati contenuti nel report – sono stati erogati in Regione Puglia 41.410 ricoveri ospedalieri per pazienti con diagnosi principali di tumore maligno. Il Vito Fazzi è il terzo ospedale per numero di ricoveri per patologie oncologiche, dopo San Giovanni Rotondo e Policlinico di Bari. Gli ospedali di Tricase e Casarano sono al nono e decimo posto. L’1% sono pazienti che provengono da altre regioni, il 6% dalle altre province.
Nel documento c’è una ammissione di respnsabilità: “Il tema della dispersione – si legge – pone la questione del volume di attività ottimale a garantire la qualità delle cure e la sicurezza del paziente”. Meno strutture ma di qualità, insomma.
“Emerge – si legge ancora – una esigenza improcrastinabile di ridefinire il modello di offerta assistenziale, disegnando percorsi in grado di orientare i pazienti, qualificando i punti di erogazione in termini di efficacia ma garantendo allo stesso tempo l’equità di accesso alle cure, anche per contrastare il fenomeno della mobilità passiva extraregionale, particolarmente elevato per alcune patologie”. Infatti il risultato è la fuga. Il 15% delle donne va ancora oggi fuori regione per il cancro al seno. E molti di più, il 22% va via dalla Puglia se ha una diagnosi di tumore al polmone. Quattro pazienti pugliesi su 10 scelgono una struttura fuori regione quando ricevono una diagnosi di neoplasia del fegato.
Lombardia, Lazio, Emilia Romagna sono le prime scelte. Sono 1280 i leccesi che hanno eseguito una Pet fuori provincia e 623 fuori regione. Il 32,7%. Con il risultato che per pagare le prestazioni effettuate fuori la Regione spende oltre 3.329.226 di euro . Per la radioterapia eseguita fuori si sono spesi 6.000.000 di euro circa. Ecco perché bisogna accelerare con l’entrata a regime della Rete Oncologica Pugliese.